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La NASA ha confermato di essere riuscita a deviare il percorso orbitale dell’asteroide Dimorphos con la propria missione DART (Double Asteroid Redirection Test). La sonda si era schiantata sul piccolo corpo celeste il 27 settembre scorso a circa 11 milioni di chilometri dalla Terra, nell’ambito di un test molto importante per verificare la possibilità di evitare in futuro disastrose collisioni di asteroidi con il nostro pianeta. I risultati, ben al di sopra delle aspettative, hanno confermato che la tecnologia di deviazione funziona e che potrebbe essere applicata su scale maggiori, nel caso in cui venisse identificato un asteroide pericoloso per la Terra.
Dimorphos ha una larghezza massima di 160 metri e orbita intorno a un asteroide più grande, Didymos, con un diametro massimo di 780 metri. In seguito all’impatto con DART – che aveva una massa di oltre 600 chilogrammi e un corpo centrale pressoché cubico con 1,3 metri di lato – il periodo orbitale di Dimorphos (cioè il tempo che il piccolo asteroide impiegava per compiere un giro completo intorno a Didymos) è passato da 11 ore e 55 minuti a 11 ore e 23 minuti. Il cambiamento di 32 minuti indica che dopo la collisione Dimorphos si è avvicinato a Didymos di alcune decine di metri, cambiando la propria orbita.
La NASA si era posta come obiettivo per dichiarare un successo un cambiamento di periodo orbitale di almeno 73 secondi. La modifica rilevata da vari telescopi è superiore alle previsioni più ottimistiche dell’agenzia spaziale, come ha spiegato Nancy Chabot, tra le persone responsabili della missione: «È una variazione del 4 % del periodo orbitale di Dimorphos intorno a Didymos. DART ha dato giusto una piccola spintarella. Ma se vorremo ripetere l’esperienza in futuro, dovremo farlo molti anni in anticipo. Il periodo di allerta è centrale per poter mettere in pratica questo tipo di deviazione degli asteroidi nell’ambito di una strategia più ampia per la difesa planetaria».
Ci sono miliardi di asteroidi e loro frammenti in orbita intorno al Sole. L’ipotesi più condivisa è che siano ciò che è rimasto del “disco protoplanetario”, l’esteso ammasso di polveri e gas in orbita intorno al Sole miliardi di anni fa dal quale si formarono i pianeti e i satelliti naturali del sistema solare che vediamo oggi. Quasi tutti gli asteroidi si trovano nella “fascia principale”, un grande anello di detriti che gira intorno al Sole, tra le orbite di Marte e di Giove a debita distanza da noi.
Collisioni e altri eventi possono turbare le orbite di alcuni di questi asteroidi, portandoli ad avvicinarsi al nostro pianeta, e sono proprio questi a essere tenuti sotto controllo. I sistemi di rilevazione e tracciamento degli asteroidi più vicini hanno permesso nel tempo di catalogarne quasi diecimila con diametro di almeno 140 metri, che nel caso di un impatto potrebbero causare grandi devastazioni su scala regionale. Nessun asteroide conosciuto sembra costituire un pericolo diretto per la Terra per il prossimo secolo, ma è comunque importante non farsi trovare impreparati.
Per questo negli ultimi anni vari gruppi di ricerca hanno lavorato ad alcune soluzioni sperimentali per “deflettere” gli asteroidi, cioè per far cambiare loro orbita. La tecnica più esplorata e promettente, l’impattatore cinetico, consiste nell’urtare con una sonda l’asteroide quando è ancora molto lontano dalla Terra, in modo che il suo nuovo percorso non incroci più quello del nostro pianeta. DART ha dimostrato la fattibilità, per lo meno su piccola scala, di questa tecnica con un esperimento dal vero, più affidabile rispetto alle simulazioni al computer. Gli asteroidi non hanno una densità omogenea, hanno forme molto diverse tra loro e altre caratteristiche fisiche difficili da prevedere e includere in una simulazione.
Nonostante l’importante risultato ottenuto con DART, la NASA ha mantenuto qualche cautela sui prossimi sviluppi dei sistemi di deviazione, proprio perché ogni asteroide ha proprie caratteristiche. Derivare da un solo impatto regole generali sul comportamento degli asteroidi sarebbe un errore. I dati raccolti consentiranno comunque di affinare molto le simulazioni al computer delle collisioni, rendendole più accurate.
Altri importanti dati sono stati raccolti da LICIACube, un satellite (cubesat) grande più o meno quanto una scatola da scarpe, gestito dall’Agenzia spaziale italiana (ASI) e costruito da Argotec, azienda spaziale di Torino specializzata nella produzione di microsatelliti. Dopo avere viaggiato per un anno in compagnia di DART, LICIACube si era separato dalla sonda per posizionarsi a circa mille chilometri di distanza dal punto dell’impatto.
Nelle ore successive alla collisione, LICIACube ha osservato e fotografato la nuvola di detriti che si è sollevata da Dimorphos, importante per ricostruire entità ed effetti dell’impatto.
Dimorphos era stato tenuto poi sotto controllo da numerosi telescopi sulla Terra e dai telescopi spaziali Hubble e James Webb, il più potente osservatorio nello Spazio. Le osservazioni sono servite per misurare le minime variazioni della luminosità apparente dell’asteroide e del suo compagno Didymos, in modo da verificare l’avvenuta modifica dell’orbita. Dal punto di osservazione sulla Terra, Dimorphos passa davanti e dietro a Didymos, producendo di continuo piccole eclissi parziali. Calcolando la loro durata si può stimare la velocità con cui l’asteroide più piccolo gira intorno a quello più grande, ottenendo dati per verificare se effettivamente l’impatto con DART abbia comportato una variazione del periodo orbitale.
Dimorphos e Didymos continueranno a essere dei sorvegliati speciali nei prossimi anni. L’Agenzia spaziale europea (ESA) ha in programma di tornare a far visita a Dimorphos e Didymos con la missione Hera tra circa quattro anni, per fornire nuovi dettagli sulle loro condizioni. La nuova missione fa parte dell’Asteroid Impact and Deflection Assessment (AIDA), l’importante collaborazione tra agenzie spaziali dedicata allo studio e allo sviluppo di sistemi per deviare gli asteroidi.