Con la pandemia e le misure di contenimento adottate, abbiamo imparato tutti che nel momento in cui queste vengono allentate ci si attende una risalita dei casi. È logico: se conteniamo meno la circolazione del virus questo viaggerà più velocemente. I immunizzazioni e l’immunità indotta dalla malattia hanno un po’ ridimensionato il fenomeno, ma in generale meno barriere si mettono al virus più questo circolerà. Lo stesso accade a tutte quelle infezioni che si trasmettono allo stesso modo, vale a dire alle infezioni respiratorie. È per questo che, complice la stagione, si parla oggi del rischio di una tripla epidemia, in cui Covid-19 si accompagna a influenza e risalita dei casi di virus respiratorio sinciziale (Rsv). Ma non si tratta secondo di co-circolazione, secondo diversi esperti, quest’anno stiamo assistendo e assisteremo a una recrudescenza di queste infezioni., come vi raccontavamo. Per spiegarle c’è chi si è appellato al concetto di immune gap o più precisamente di debito di immunità ( immunity debt), a identificare una ridotta protezione immunitaria risultato della mancanza di esposizione a un patogeno. Una locuzione che si crede formulata da un team di ricercatori francesi lo scorso anno, da più parti criticata se non addirittura condannata.
Debito di immunità, questione di epidemiologia e sensibilità
“È innegabile che esista un rapporto tra l’organismo e l’ambiente in cui vive, gli stimoli che riceve – racconta a Wired Italia Paolo Palma, responsabile dell’Immunologia clinica e della vaccinologia presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – ed è plausibile pensare che dopo aver vissuto un così lungo periodo di restrizioni, con l’esposizione a questi stimoli ridotta al minimo, abbia portato a una maggiore suscettibilità nei confronti di alcune infezioni”. È il caso, continua Palma dell’influenza e del virus respiratorio sinciziale, infezioni che hanno sempre circolato ma per le quali stiamo ora assistendo a una recrudescenza, dovuta appunto ora all ri-esposizione massiva, dopo le chiusure prolungate. È accaduto per esempio negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, nella Nuova Zelanda e anche in Italia, con le società scientifiche di pediatria e neonatologia che invitano a prestare attenzione alla nuova ondata di RSV, in particolare nei pazienti più fragili, come i prematuri e con patologie congenite cardiache o polmonari.
Proprio per l’Italia, un paio di mesi fa, è stato pubblicato uno studio condotto all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino, che mostrava come nel 2021, con la riapertura delle scuole, asili e ripresa delle attività sociali, si osservasse un picco di casi di bronchiolite da Rsv, non rivelato negli anni precedenti. Un piccolo esempio locale, ma la conferma, scrivevano gli autori, che si stessero concretizzando gli effetti del citato immunity debt. Ma non si tratterebbe solo di questo.“L’aumento delle segnalazioni è testimoniato tanto dall’aspetto epidemiologico che, verosimilmente, da un’aumentata sensibilità della cittadinanza nei confronti delle infezioni respiratorie”. Se infatti prima di Covid-19 (malgrado fosse tutto meno che raccomandabile) uscire, andare al lavoro con mal di gola e nasi gocciolanti era socialmente accettato e considerato la norma, l’arrivo della pandemia ha cambiato tutto. Col risultato, testimonia l’esperto, che oggi esiste un’attenzione nei confronti delle infezioni respiratorie che in passato non c’era.
Da un lato dunque questo immunity debt, se lo si legge come una recrudescenza delle infezioni respiratorie prodotte da chiusure prolungate (specie con le scuole nei bambini), è un’ipotesi più che verosimile, avvallata da diversi esperti (qui e qui, per esempio). Ma sarebbe azzardato assimilarlo al concetto qualcosa di sbagliato commesso in passato: “Ora, con una situazione epidemiologica diversa, con l’arrivo dei immunizzazioni, la comparsa di nuove varianti, si potrebbe essere tentati di valutare come esagerate le misure adottate negli scorsi anni – riprende Palma – ma abbiamo agito con gli elementi presenti allora, cercando di fare la cosa giusta per preservare il maggior numero di persone fragili. Abbiamo vissuto quello che conoscevamo al tempo”. La parola debito, che allude appunto a qualcosa da pagare a compenso e nemmeno tanto velatamente, considerati i titoli di alcune comunicazioni scientifiche in materia di RSV, il virus al centro delle discussioni in materia di immune debt – è sbagliata. Non solo per Palma: la scelta delle parole immunity debt è stata ritenuta quanto meno infelice da diversi esperti proprio per gli stessi motivi: “Richiama alla mente una decisione sbagliata, mentre non è così. La fine delle restrizioni ha significato solo tornare a osservare questi fenomeni, che non sono nulla di anomalo. Osserviamo la ripresa di virus respiratori che ci hanno sempre impegnato, solo che se prima erano diluiti nel tempo, ora sono più frequenti”, puntualizza l’esperto.
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di Anna Lisa Bonfranceschi www.wired.it 2022-11-21 05:40:00 ,