AGI – L’intesa politica c’è, deve ancora materializzarsi, ma non ci sono dubbi che Luigi Di Maio abbia centrato un gol diplomatico notevole: è il primo ministro degli Esteri a sbarcare in America nell’era Biden, il primo a cominciare a parlare di un’apertura degli Stati Uniti alla produzione e export dei vaccini verso l’Europa e il primo ad aver saggiato la disponibilità della Casa Bianca a discutere di una tassa sugli over the top, i titani della Rete. ‘Last but not least’, il titolare della Farnesina incassa un per niente scontato impegno americano nel Mediterraneo, con l’Italia che ha un mandato chiaro per la stabilizzazione della Libia.
E ancora un non detto: gli Stati Uniti scommettono su Mario Draghi, il suo carisma, le sue relazioni consolidate con Washington, fin dai tempi di Goldman Sachs. Nel tramonto dell’era Merkel, ci sono solo due carte disponibili nel Vecchio Continente, Emmanuel Macron (che in ogni caso dovrà affrontare una difficile elezione in patria) e il premier italiano che ha subito colmato il deficit di guida mostrato dall’Europa (leggere alla voce Germania) in questa fase della crisi pandemica.
Il Regno Unito di Boris Johnson fuori dall’Unione europea completa il quadro “La forte partnership tra Stati Uniti e Italia non è mai stata così importante”, dichiara Antony Blinken twittando una foto con Di Maio al dipartimento di Stato, dopo aver definito “cruciali la voce e la leadership” di Roma in tutti i dossier condivisi. What else? La parola chiave è una sola: vaccino. Non c’è un lungo periodo (nel quale John Maynard Keynes avrebbe detto ‘nel lungo periodo siamo tutti morti’), c’è un imperativo categorico dell’Italia e dell’Unione Europea, immunizzare la popolazione, mettersi al passo con il decollo a razzo dell’economia, un balzo che la Federal Reserve per gli Stati Uniti ha stimato in oltre il 6% mentre il Fondo monetario internazionale nel suo outlook di primavera prevede per l’Italia un buon 4,2%. Sono i numeri del 2021 ma c’è un caveat, le vaccinazioni.
E non ci sono dubbi – visto lo stato dell’arte sulla produzione dei vaccini – che l’America sia l’Eldorado del siero che regala la Bonanza. Ecco perché Di Maio, subito dopo l’incontro con il segretario di Stato Blinken, parlando con i giornalisti a Villa Firenze spiega: “Abbiamo concordato sulla necessità di accelerare insieme la campagna vaccinale. Dobbiamo organizzarci meglio come occidente anche per fronteggiare la geopolitica dei vaccini”.D’altronde, il governo italiano, dopo il caos AstraZeneca, i tentennamenti dell’Ema e del paese guida, la Germania, ha subito puntato sugli Stati Uniti e il vaccino di Moderna per acquisti extra che serviranno da qui al 2023. Dunque il treno dei vaccini tra Washington e Roma è in corsa, vedremo quando arriverà. Di Maio è ottimista e allo stesso tempo realista, non si sbilancia, piazza la bandiera del risultato politico ottenuto, “l’intendenza seguirà”.
L’altro capitolo che pesa, che dà un senso alla missione di Di Maio a Foggy Bottom, riguarda la gigantesca partita del Mediterraneo dove l’Italia spende tutto l’interesse nazionale. Si legge Libia, si traduce in influenza sul Mare Nostrum che da troppo tempo giace in un limbo. Con l’amministrazione Trump era una missione impossibile, perché The Donald guardava semmai al vicino Oriente, all’Arabia Saudita, a Israele e agli Emirarti Arabi Uniti, a leader come Mohamed bin Salman, Bibi Netanyahu, allo sceicco Khalifa bin Zayed, con i radar delle portaerei americane nel Golfo puntati sull’Iran nucleare. A Trump i destini del governo di Tripoli non interessavano, tanto che il terreno del Mediterraneo orientale è stato poi occupato dalla Russia e dalla Turchia (con Washington “condividiamo la preoccupazione per la presenza di forze straniere turche e russe perché rappresentano un problema per la sovranità della Libia”, segnala Di Maio).
A questo quadro va aggiunta l’egemonia cinese in Africa. Frutto di un disimpegno pluriennale degli Stati Unti nel continente nero che, in realtà, è ancora una volta più che mai strategico, due esempi: 1. La crisi del blocco del canale di Suez, passaggio vitale per il commercio mondiale; 2. La crisi nelle forniture di materie prime fondamentali nelle produzioni high-tech (tipo il cobalto) che servono per la produzione dei microchip. L’Africa è la chiave d’accensione della contemporaneità.
Sulla scrivania di Antony Blinken al dipartimento di Stato pulsano dossier come l’atomica iraniana (e le accusa di Teheran a Israele sul blackout nel sito nucleare di Natanz), il difficile rapporto con un alleato strategico come la Turchia (e le tensioni con l’Italia dopo le parole di Draghi) che ha secondo esercito della Nato ma si muove con spregiudicatezza acquistando il sistema di difesa antimissile S-400 dalla Russia, minacciando l’Europa di aprire il rubinetto dell’immigrazione, perseguendo una politica di stop and go ai confini con la Siria e l’Iraq. Il rapporto con Ankara è importante ma urgente è la soluzione del cubo di Rubik di Teheran. I rapporti con il regime iraniano restano tesi, l’’incidente’ di Natanz, la partita d’Israele, rendono tutto difficile.
L’Italia può giocare un ruolo? Può essere un attore nella mediazione, Di Maio può far valere i buoni rapporti del nostro paese con la Russia (che per l’Iran è un fornitore di tecnologia) e con gli ayatollah. Sono tutti elementi di una diplomazia proattiva e il quadro è in rapidissima evoluzione. L’Unione europea, e l’Italia naturalmente qui ha un peso notevole per la sua capacità di proposta e blocco (le decisioni a Bruxelles si prendono all’unanimità) ha altri dossier aperti: primo fra tutti il tema dei dazi, in particolare sull’acciaio e sulla tassazione dei giganti della rete che si muovono senza confini fiscali.
Qui gli interessi dell’amministrazione Biden e dell’Ue (e anche dell’Italia) potrebbero convergere: il segretario al Tesoro Janet Yellen qualche giorno fa ha sostenuto la necessità di una tassazione minima sulle multinazionali, sui loro utili offshore. L’Unione europea vede i titani di Internet come Draghi che si muovono senza pagare dazio nel Vecchio Continente. Tassare gli uni e gli altri in un momento in cui gli Stati devono finanziare la ricostruzione post pandemica è un interesse comune. Restano sul tappeto due temi intrecciati, la Cina e il cambiamento climatico.
I rapporti con Pechino sono essenziali per tutti, ma la presenza di John Kerry all’incontro tra Blinken e Di Maio certifica che non ci può più essere rivoluzione industriale senza transizione energetica, che non ci può essere commercio mondiale aperto senza regole comuni sulla produzione e il lavoro. E’ un cantiere aperto in cui le fondamenta sono due, vaccinazione e ricostruzione, senza la prima non può esserci la seconda, ecco perché si torna al punto di partenza, l’emergenza sanitaria.
Bilancio della missione di Di Maio? Dopo 160 anni di relazioni bilaterali tra Italia e Stati Uniti, incassa un credito che Palazzo Chigi dovrà spendere bene. E’ un nuovo inizio.