Un altro fossile unico è un embrione di pterosauro, già ben sviluppato ma ancora chiuso nel suo uovo. Le varie analisi hanno permesso di capire che il guscio dell’uovo, probabilmente, non era duro ma morbido e coriaceo e che forse la madre lo conservava seppellito nella sabbia, come fanno le tartarughe. Con la tomografia a raggi X, poi, DePalma ha studiato e ricostruito le ossa del piccolo pterosauro, suggerendo che è probabile che questi animali fossero in grado di volare appena usciti dall’uovo.
Per alcuni esperti, però, non ci sarebbero prove schiaccianti che l’ornitischio, lo pterosauro e organismi ritrovati nel sito siano decessi proprio il giorno dell’impatto dell’asteroide. Potrebbero anche essere decessi in altri momenti e in altri luoghi, e poi essere stati ammassati nel sito di Tanis dalla violenza dell’urto dell’asteroide. Al di là di questo, le scoperte hanno senza dubbio un valore inestimabile che permetterà di conoscere meglio quella lontana era.
Frammenti di asteroide?
Come DePalma e colleghi avevano già accennato nel 2019, nelle branchie di alcuni organismi marini ritrovati a Tanis sono incastrate delle sferule di vetro che si sarebbero formate per l’impatto dell’asteroide. La roccia fusa sarebbe schizzata in aria e raffreddandosi avrebbe originato queste particolari strutture che, ricadendo a terra, sarebbero poi state “respirate” dagli organismi marini, soffocandoli.
Il team di Manchester, però, avrebbe anche altro in mano. I ricercatori sostengono di aver ritrovato delle sferule praticamente intatte (non alterate da milioni di anni di reazioni chimiche) intrappolate all’interno di frammenti di ambra (resina degli alberi). Le hanno dunque analizzate per ricavarne la composizione: la maggior parte è risultata essere di origine terrestre, con alte concentrazioni di elementi come stronzio e calcio, ma due sono molto diverse, con livelli più elevati di ferro, cromo e nichel compatibili con quelli delle condriti carbonacee (un tipo di meteoriti). Se così fosse, avremmo l’identikit del killer dei dinosauri.
E non è finita, secondo DePalma nelle sferule ci sarebbero bolle d’aria che potrebbero essere dei piccoli serbatoi di quanto si respirava 66 milioni di anni fa. Se le scoperte fossero confermate si aprirebbero prospettive di collaborazione anche con la Nasa. Come riferisce il New York Times, Jim Garvin del Goddard Space Flight Center ha già proposto di confrontare i frammenti di Tanis con campioni dell’asteroide Bennu raccolti dalla missione Osiris-Rex (in viaggio di ritorno per la Terra) e magari anche con quelli recuperati dalle missioni Apollo.
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di Mara Magistroni www.wired.it 2022-04-08 15:38:29 ,