Il sole è quasi tramontato e l’ultimo raggio rosso si riflette sui finestrini del bus della speranza che fa tappa a Caserta dopo un viaggio di 52 ore. Sono le 18 e i motori si spengono.Le porte si aprono ma nessuno scende, mentre a salire sono i volontari per dare un primo abbraccio alle tante famiglie scappate dalle bombe. Seduta al centro del pullman, quasi come una prof che deve tenere sott’occhio gli alunni durante una gita, c’è una donna, una balia temporanea a cui dodici coppie hanno affidato le vite di altrettanti figli. Madri e padri rimasti a Kiev per difendere la Patria, l’ultimo bacio dato in terra Ucraina prima di staccarsi dai propri figli, tutti piccoli e tutti impauriti. «Nei loro occhi ho visto tanta tristezza. Erano terrorizzati all’arrivo e non si muovevano. Siamo saliti sul bus per donargli qualche giocattolo e alcuni dolci e siamo stati ricambiati con piccoli e timidi sorrisi. E’ un dolore immenso che non è possibile né spiegare tantomeno dimenticare«. Valentina è stremata, la sua mente è occupata da quegli sguardi impauriti, e ci pensa durante il rientro da Caserta verso Sant’Antonio Abate. Valentina è una delle “maglie” della meravigliosa rete di solidarietà che si è concretizzata anche grazie anche alla società Afeltra Viaggi di Gragnano che ha organizzato il bus della speranza, guidato a turno dai tre autisti Ciro Gargiulo, Francesco e Giovanni Afeltra. Questa volta a bordo non ci sono turisti, ma 50 fuggitivi, con pochi bagagli e senza nessuna certezza. Un gruppo di profughi che era riuscito a varcare il confine ucraino, dopo chilometriche file, e rifugiarsi in Polonia. A stringere forte le piccole mani è anche la donna che è riuscita a portare in Italia dodici bambini che, dopo le dovute pratiche, verranno accolti in una struttura di Terzigno. Dodici minorenni, dai tre mesi ai 10 anni, che avrebbero dovuto preoccuparsi soltanto di giocare, di svegliarsi la mattina presto per andare a scuola o, per i più piccini, di stare quanto più tempo tra le braccia della mamma e del papà. Braccia che, forse, potrebbero non più stringerli perché adesso sono impegnate a lottare per la Patria, respingendo il nemico anche a costo della propria vita. Questo il prezzo che uomini e donne hanno deciso di rischiare, anche a costo di perdere vita. Ma solo dopo aver messo in salvo quelle vite innocenti, forse morire sapendo di aver salvato il proprio figlio da una assurda guerra sembra essere quasi una consolazione. Bimbi che durante il viaggio hanno chiamato invano il nome della mamma e del papà, sperando che potessero apparire, quasi per magia, dal fondo del bus. Lacrime, disperazione, paura e un mondo completamente diverso, con persone che parlano una lingua diversa e in una dimora di fortuna diversa. E’ il mondo stravolto dei bambini ucraini che hanno perduto tutto in pochi giorni, perché sulle loro teste invece di volare i palloncini sono volate le bombe.
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di Elena Pontoriero
www.metropolisweb.it
2022-03-08 08:30:50 ,