AGI – Un delitto irrisolto, quello dell’ingegnere Tumino, il 25 febbraio del 1972. Un omicidio con molte ombre, quello del giornalista Giovanni Spampinato il 27 ottobre del 1972 che un colpevole ce l’ha ma che non ha un movente, poi la morte accidentale di una persona che Tumino conosceva: il 6 gennaio del 1973, muore folgorato l’antiquario Guarino. Non è la trama di un romanzo giallo ma è la storia di quanto accadde nell’arco di un anno di 49 anni fa in una città, Ragusa, in cui un giovanissimo giornalista, di quelli che si consumavano le suole delle scarpe a cercare notizie, raccontava gli avvenimenti di cronaca, il territorio: Giovanni Spampinato.
Ragusa, e la provincia iblea, era interessata in quel periodo dall’arrivo sospetto di un gruppo di neofascisti (perché nella ‘piccola’ Ragusa?) con volontà di infiltrarsi tra gli anarchici, dai traffici di contrabbando, sigarette ‘pagati’ con reperti archeologici, e da una verità che sembra ogni volta nascondersi tra le pieghe del tempo, quasi a diventare una storia ‘mitica’.
Da qualche tempo, – come anticipato dall’Agi – le indagini sulla morte dell’ingegnere Angelo Tumino, prima tradecessito e poi ucciso con un colpo di pistola alla fronte e abbandonato in una campagna, sono state riaperte. Parte dell’attenzione è volta anche alle tracce di sangue su un sacco di iuta, rinvenuto nella macchina dell’ingegnere Tumino: in parte appartengono a lui, alla vittima, e in parte ad un ignoto. Un delitto sul quale Giovanni Spampinato aveva raccolto testimonianze e informazioni.
A riaprire il caso Tumino, la Procura di Ragusa diretta da Fabio D’Anna con le indagini coordinate dal sostituto procuratore di Ragusa, Santo Fornasier con un team ristretto di persone, le sezioni di Polizia giudiziaria di Finanza e Polizia di Stato.
Dopo 49 anni, è stata apposta una targa davanti al carcere di Ragusa, dove Giovanni Spampinato fu ammazzato da Roberto Campria, figlio dell’allora presidente del Tribunale. Ammazzato con sei colpi sparati da due pistole. Ed è proprio davanti ad una targa apposta ora, dopo 49 anni, nel luogo in cui fu assassinato Giovanni Spampinato che Salvatore, il suo fratello più giovane, attende verità, quella che Giovanni cercava e che forse aveva scoperto. Perché ciò che accadde prima dell’uccisione di Giovanni – omicidio Tumino – e dopo, forse è collegato.
Salvatore Spampinato da 5 anni spulcia ogni atto, rilegge ogni testimonianza, parla, ascolta. Non punta il dito contro nessuno ma è convinto che dalla verità sul delitto Tumino per il quale non è mai stato trovato un colpevole o un movente, ne discenderà verità anche per l’uccisione di suo fratello Giovanni ammazzato da Roberto Campria, figlio dell’allora presidente del Tribunale di Ragusa e sentito, diverse volte, all’epoca, anche per il delitto Tumino.
E la storia che Salvatore Spampinato ripercorre, inizia proprio dall’omicidio Tumino perché le storie di Roberto Campria e Giovanni Spampinato si intrecciano proprio qui, quando dopo la morte di Tumino, Giovanni inizia a raccogliere informazioni e proprio su Campria si concentrano i suoi interrogativi. Salvatore Spampinato in una lunga intervista pone una serie di domande che emergono dallo studio delle documentazioni di cui è in possesso.
La vicinanza e la conoscenza di Campria con Tumino era emersa sin da subito. “Quando arriva la telefonata della morte di Tumino, Campria era a abitazione dell’ingegnere, risponde lui al telefono, e dichiarerà di essersi trovato li per aspettare l’amico e intanto stava mettendo a posto delle cose? Ma mi chiedo, cosa stava sistemando? Puoi mettere le mani in cose non tue in abitazione d’altri”, dice Salvatore Spampinato.
Se il movente fosse stato una rapina, perché Tumino aveva l’orologio addosso e 370mila lire in tasca? Sempre secondo gli studi di Salvatore Spampinato, Tumino non venne ucciso nel posto dove venne trovato e per trasferire il corpo di un uomo possente come il suo, non bastava una persona. Chi è stato coinvolto in questa uccisione? Non c’è certezza nemmeno sul calibro della pistola che lo ha ucciso. “Il calcolo è stato fatto dal foro che il colpo ha provocato, non dal bossolo che non venne trovato. Si disse una calibro 9 che era arma generalmente in dotazione delle forze dell’ordine ma è più facile che potesse essere una calibro 38”.
E poi una serie di riscontri che non vengono effettuati nella immediatezza e che partono dalla ricostruzione delle ultime ore di vita di Tumino con alcune testimonianze che secondo Spampinato non vengono approfondite ‘a caldo’. Alcuni contadini avrebbero visto Tumino nelle campagne iblee assieme ad un’altra persona che non venne mai identificata. Una vicina di abitazione di Tumino sostenne di avere visto l’ingegnere uscire di abitazione con ‘Roberto’ e un altro soggetto ma non ci fu un confronto tra la donna e Roberto Campria.
“La vicina – aggiunge Salvatore Spampinato – riconoscerà Campria da una foto su un quotidiano”. Sullo sfondo un tentativo di furto qualche tempo prima dell’uccisione dell’ingegnere, in un magazzino di Tumino. Chi ha operato? Cosa stavano cercando. E spunta la pista di un bene pregiato, un cratere, un pezzo di inestimabile valore che aleggia sulla storia. Campria nei giorni a ridosso dell’uccisione dell’ingegnere dichiarerà di avere visto Tumino cinque giorni prima in un viaggio che avevano fatto assieme a Pietrapezia per comprare dei ‘pezzi da scavo’ che sostiene non avere mai acquistato? A cosa servivano?”.
Un traffico di reperti? Una storia complessa in cui le varie dichiarazioni rese da Campria stesso, danno da pensare. Roberto Campria sosteneva di essere sotto minaccia e di avere comprato due pistole per difendersi tanto da dire ad un amico di avere intenzione di consegnargli una busta da recapitare alla Polizia nel caso in cui qualcuno gli avesse fatto fare “stessa fine” di Tumino. Chi o cosa temeva? Conosceva chi ha ucciso Tumino? E ancora, perché ad un certo punto delle indagini sulla morte di Tumino, Campria riferisce ad un ufficiale della Finanza, di essere stato cercato da dei contrabbandieri per agevolare uno sbarco di una nave che con sigarette arrivava dalla Jugoslavia? In quel frangente racconta che gli erano stati promessi dieci milioni di lire per portare una valigetta a Palermo e per corrompere qualcuno per avere campo libero nei luoghi di sbarco, racconta Salvatore Spampinato che ricorda pure, dai suoi studi che lo stesso Campria si presentò come antiquario, all’ufficiale della guardia di finanza, pur essendo ragioniere impiegato alla Provincia, sostenendo di essere informato che i traffici venivano ricompensati con materiale archeologico ed opere d’arte. E come se la storia non fosse abbastanza complessa, in quel periodo si registrava la presenza di un nucleo neofascista nel Ragusano.
“Giovanni se ne stava occupando, diceva in una lettera che da una piccola cosa ne aveva scoperta una grossa – dice il fratello Salvatore –. Nelle coste tra Ragusa e Siracusa ci sarebbero stati sbarchi di armi e sigarette che servivano per autofinanziamento dei gruppo neofascisti, carichi che venivano ripagati anche con reperti archeologici e opere d’arte. Delle Chiaie e Quintavalle erano a Ragusa e Delle Chiaie era uno dei ricercati per il sospetto che ci fosse lui alle spalle dell’attentato all’Altare della Patria e di Piazza Fontana. La famiglia Quintavalle che era considerata appartenente agli ambienti dell’eversione di estrema destra alloggiava nel cuore della Ragusa dell’epoca e uno dei figli aveva tentato di entrare nel gruppo degli anarchici ed era pronto a dare soldi per organizzare una sede strutturata. Da Roma pero dissero che era un fascista e questa storia arrivò a Giovanni”.
E un mese dopo l’omicidio Tumino, Giovanni Spampinato scopre di avere il telefono sotto controllo e pure di essere pedinato da uno della “polizia politica” e va a raccontare tutto alla federazione del partito comunista, di Ragusa; Giuseppe Spampinato, papà di Giovanni ne era dirigente e ideatore.
“Fa di più, scrive una nota di quanto stava accadendo che finisce per anni nel dimenticatoio, Giovanni stesso che ritengo fosse preoccupato, teme che qualcuno pensi che lui sappia più di quanto in realtà sa e scrive anche del delitto Tumino che secondo lui stava andando verso l’insabbiamento. Eppure di quella nota non ne venne informato nemmeno mio padre”. Sono alcuni degli episodi che Salvatore Spampinato racconta. Non vuole colpevoli ma verità e se suo fratello Giovanni è stato ucciso, secondo i suoi studi, è anche perché sul delitto Tumino non venne fatta adeguata chiarezza. “Dal delitto Tumino alla sua uccisione, Roberto Campria cercò spesso Giovanni, pur avendolo querelato, voleva probabilmente sapere da lui elementi di indagine che lo riguardavano” dice Salvatore Spampinato.
“La notte in cui Giovanni venne assassinato ero da solo in abitazione. I miei genitori erano andati dalla nonna, la mamma di mio padre. Campria telefonò perché aspettava di vedersi con Giovanni che non era ancora rientrato da Catania dove aveva accompagnato la fidanzata. Sentii Giovanni rientrare dopo le 22, ho percepito che stava parlando al telefono con il suo assassino che insisteva per vederlo. Giovanni tentava di rimandare ma quello insisteva. Poi Giovanni posò la cornetta arrendendosi alle insistenze, riprese le chiavi della macchina ed uscì”. Dopo il tentativo di andare a prendere qualcosa in un bar, arrivarono davanti al carcere e Campria sparò sei colpi di pistola dentro la macchina, ammazzando Giovanni Spampinato.
“Qualcuno vide una macchina di traverso davanti a quella di Giovanni, tanto da pensare ci fosse stato un incidente ma di questa macchina, una 850 chiara non si saprà più nulla. E poi la storia delle pistole una p38 ed una automatica, quattro colpi sparati da una e due dall’altra. Positivo il guanto di paraffina su Campria per entrambe, ma una delle due era senza impronte, e lo si seppe nel 2008. Campria raccontò diverse versioni. Venne condannato per l’omicidio di Giovanni. Premeditato, ma un movente fino alla sentenza di Cassazione non c’è. Perché è stato ucciso Giovanni? Perché non si fece mai luce sul delitto Tumino? Giovanni era sulla pista giusta? Chi poteva temere dalle sue indagini giornalistiche?”. Il 6 gennaio 1973 muore un antiquario, Guarino, folgorato nel campanile di San Giovanni. Era persona amica di Tumino. “Non so se ci sia o meno un collegamento tra tutte le decessi ma ritengo ci sia una lunga serie di circostanza da chiarire”.