Dostoevskij: la serie esistenzialista che riflette sulla morte, l’ossessione e l’alienazione
Dostoevskij è la nuova opera fuori dagli schemi scritta e diretta da Damiano e Fabio D’Innocenzo, presentata in anteprima alla Berlinale come una serie per il cinema o un film a episodi, sfumando i confini tra i due formati.
Il protagonista è Enzo Vitello, un poliziotto dal passato oscuro, ossessionato da “Dostoevskij”, un assassino seriale ed enigmatico che, accanto a ogni vittima, lascia sempre una lettera desolante. Ma proprio in queste lettere Vitello sente riecheggiare una parte di sé.
Sono testi nichilisti, in cui troviamo una critica sociale incisiva e una meditazione sulla morte che impediscono allo spettatore di riconoscere l’eroe come antieroe, spingendo al limite il ruolo del protagonista.

I fratelli D’Innocenzo confezionano una miniserie che fonde diversi generi: con una narrazione che si sposta dal thriller poliziesco all’esistenzialismo, fino a spingersi ai confini dell’horror, esplorando le profondità dell’animo umano attraverso una fotografia cupa e desolante.
L’inizio ha un ritmo lento e contemplativo, avvolgendo il pubblico in un’atmosfera di immobilità e introspezione. Poi, con un brusco cambio di passo, la narrazione accelera, diventando più frenetica. Le inquadrature, immersive e inquietanti, amplificano il senso di tensione e coinvolgimento.
Lettere dall’inferno
Dostoevskij lascia lettere dettagliate accanto alle sue vittime descrivendo i loro ultimi istanti e riflettendo sull’inconsistenza della vita e sulla sua fine. Ogni parola è accuratamente calibrata in un sofisticato esercizio linguistico, destinato a razionalizzare un profondo senso di vuoto esistenziale.
Il protagonista sviluppa una vera e propria ossessione per queste lettere, di cui tappezza la sua camera, trovando in esse un’eco del proprio tormento interiore. Filippo Timi è straordinario nel ruolo di Enzo, immergendosi in una performance intensa e logorante, sia emotivamente che fisicamente.
Attraverso il rapporto epistolare, a senso unico tra killer e poliziotto, gli autori offrono una riflessione sulla natura della vita e della morte attraverso il filtro di una mente disturbata.

Un espediente letterario che crea intimità e permette ai caratteri dell’uno di permeare quelli dell’altro, svelando le origini del male che adombra l’assassino, ma anche quelle di Vitello.
Quest’ultimo non rientra né nei canoni dell’eroe classico né in quelli dell’antieroe contemporaneo, piuttosto, emerge come un personaggio dai comportamenti quasi emulativi.
Dostoevskij: la serie esistenzialista che riflette sulla morte, l’ossessione e l’alienazione
L’estetica decadente come riflesso dell’alienazione
I fratelli D’Innocenzo creano un mondo che esiste solo nell’inevidenza, dove le ombre dominano e ogni inquadratura è carica di pesantezza emotiva.
Come in America Latina, i luoghi scelti, paesaggi rurali della provincia romana, rappresentano una realtà cruda e desolata che riflette lo stato d’animo dei personaggi. Le luci e i colori intensi sottolineano la lotta interiore dei protagonisti: scene in penombra e con tonalità fredde creano un senso di alienazione.
La macchina da presa dei fratelli D’Innocenzo li segue nella loro squallida quotidianità, fatta di case fatiscenti, catapecchie e campagne abbandonate.

Ogni elemento visivo serve a creare un riflesso della psicologia dei personaggi, dai colori alle ambientazioni e proprio attraverso i dettagli entriamo, in maniera sanguinolenta, nella loro psiche.
Le scene più cruente sono il simbolo di una violenza carica di senso, che non vuole destabilizzare lo spettatore, bensì problematizzare e dare un senso a quelle ferite che lacerano le carni e le menti.
Una genitorialità spezzata
Al centro della narrazione c’è il rapporto travagliato e sofferto tra Vitello e sua figlia Ambra.
Enzo ha un passato tormentato ed è afflitto da una lotta interiore contro un’indole deprecabile, che poi scoprirermo nel corso della narrazione.
Ambra è una ragazza fragile, dipendente da droghe e in aperto conflitto con il padre. Rappresenta una generazione perduta, senza una guida e un supporto costante. Interpretata da una giovanissima Carlotta Gamba che riesce con il suo sguardo intenso e malinconico a incarnare tutto il malessere e il disagio che contraddistingue il suo personaggio.
Questo rapporto padre-figlia si ripercuote anche sulle dinamiche di genere. La storia mette in luce il machismo presente nel timone di polizia e nella società, evidenziando come le aspettative di genere plasmino le percezioni e i comportamenti dei personaggi, puntando i riflettori sulle sfumature della mascolinità tossica e mettendole in discussione.

La serie crea un legame efficace tra l’assenza di una guida familiare, causata da conflitti psicologici, e l’assenza di una guida istituzionale, causata da problemi sistemici, infatti “L’unico modo per garantire a certa gente un futuro migliore è dargli un presente terrificante”, come viene affermato nella narrazione.
Questo parallelismo rafforza il tema della perdita e dell’alienazione sociale, mostrando le conseguenze di una società che non riesce a proteggere le persone più vulnerabili, in questo caso gli orfani ed emarginati.
Il processo di metamorfosi del protagonista in antagonista, infatti, apre le porte a una riflessione più ampia sullo stato della società italiana: Vitello abbandona gradatamente la sua umanità, estraniandosi da ogni rapporto familiare o amicale e da ogni ruolo sociale, così come dal suo ruolo narrativo di eroe, tagliando ognuno di questi legami, fino a quello che lo lega con il serial killer.
Con Dostoevskij i fratelli D’Innocenzo dimostrano ancora una volta la loro capacità di creare opere che coniughino al tempo stesso accessibilibilità e spessore intellettuali.
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di Veronica Cirigliano
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2025-03-20 11:56:00 ,