- Leone d’argento – Gran premio della giuria alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia;
- selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar 2022 nella sezione del miglior film internazionale;
- premio Marcello Mastroianni al protagonista, il giovane Filippo Scotti per la sua prima esperienza cinematografica;
ecco i premi di cui è stato insignito il nuovo film di Paolo Sorrentino, per cui come si può dire di no ad un già preannunciato successo? Non si può e non si deve dire di no.
La storia è incentrata su Fabietto, un adolescente che conduce una vita tranquilla a Napoli con la sua famiglia, sempre impegnato tra lo studio delle lettere classiche, i pranzi con i parenti bizzarri e l’ammirazione per il suo idolo Maradona. Ma a recidere questa serenità arriva un evento tragico, destabilizzante e faticoso da accettare, che darà al protagonista spunti da cui ripartire e nuove strade da percorrere per il suo avvenire.

Ridere cura l’anima
Fabietto ha una particolarità: è Sorrentino da giovane.
E ora che quest’ultimo è divenuto uno dei più noti registi italiani anche all’estero, ironizza: “Questo è un film autobiografico su un periodo della mia vita. Per risolvere i problemi si trattava o di andare in analisi e pagare o di fare un film ed essere pagati e ho scelto la seconda opzione!”
Questa pellicola è il diario attraverso cui Sorrentino descrive i suoi sentimenti dell’epoca, di quando era un ragazzo.
Il regista confessa di essersi ispirato a Massimo Troisi per raccontare un pezzo di vita degli anni ’80, perché lui era un innovatore e un portatore di commistioni nei suoi film: la comicità, la tenerezza, la grazia, una certa idea dell’amore e delle relazioni.
È stata la mano di dio è un film verace, in cui le gioie e i dolori vengono vissuti a 360° sia dai protagonisti sia dagli spettatori.

Si ride con la stessa intensità con cui si soffre, in una realtà rappresentata con gusto per l’estetica e l’aggiunta di elementi onirici. C’è qualcosa di irreale e di fantastico che pervade l’atmosfera del film, la rende rarefatta in alcuni momenti.
Ma il fulcro della pellicola si può dire risiede nella risata. Ridere è importante, serve ad unire le persone, a rendere unici i loro legami e anche a sdrammatizzare.
Ridere anestetizza anche i dolori più forti, come accade quando la madre, dopo alcuni giorni dalla scoperta del tradimento da parte del marito, si burla di lui spaventandolo con un orso finto.

Velatamente Napoli
Poi c’è il tema della napoletanità che viene esaltata in modo vincente e non canonico. Questo lo si evince dal modo in cui viene trattato il fil rouge del film che è il fanatismo per Maradona, descritto come un elemento che unisce il basso e l’alto, come la salvezza dalla morte.
Durante la partita Argentina – Inghilterra dei Mondiali di calcio del 1986 in Messico, el pibe de oro segnò con la mano, portando la propria squadra in vantaggio. A chi gli contestava il gol, disse: “È stata la mano di Dio”.
Proprio da questa citazione deriva il titolo del film, un’azione che porta il protagonista a salvarsi dalla tragedia familiare a cui e sottoposta la sua famiglia: i suoi genitori muoiono a causa di un’inalazione di monossido di carbonio.
Ma Fabietto non è con loro perché vuole assistere alla partita del Napoli, momento in cui può guardare da vicino il suo idolo sul campo.
Il dramma si alterna alla commedia e soprattutto a scene quasi irreali, come quella in cui la zia squilibrata di Fabietto prende il sole nuda davanti a tutta la famiglia.
Sulla barca tutti la guardano stregati dalla sua avvenenza, infatti per il giovane protagonista la zia è una musa ispiratrice. Colei che gli da forza anche solo con uno sguardo.
Struttura matriarcale, la donna sconvolge ma tiene unita la famiglia, la donna è il nucleo
Patrizia sconvolge, la madre di Fabietto tiene unita la famiglia perché passa sopra al tradimento

Il cinema come salvezza
Questo film ricorda un po’ 8½ di Fellini, il quale viene ampiamente citato sia come nome sia come filoni tematici: autoreferenzialità, surrealismo e discorsi sul cinema.
Inoltre viene mostrata anche un’umanità stramba simile a quella di felliniana memoria, personaggi fuori dal comune e persone normalissime alle prese con azioni stravaganti.
Fabietto si appassiona al cinema gradualmente, ci si appiglia particolarmente dopo la perdita degli affetti più cari perché come sostiene “La realtà non mi piace più, la realtà è scadente”.
Quando incontra Antonio Capuano, un noto regista napoletano, ha un duro confronto con lui ma sarà fondamentale la sua domanda “A tieni ‘na cosa a raccuntà scèm?”.
Gli smuoverà una rinnovata forza combattiva e gli farà capire che il cinema non è un passatempo, è soprattutto dedizione, sofferenza e audacia.
Per fare cinema infatti, bisogna avere coraggio oppure un dolore, ma più di tutto bisogna avere qualcosa da raccontare.
Questo film è davvero un capolavoro di Sorrentino, un’opera matura che pone sul tavolo tanti argomenti importanti e tanti altri ne fa scaturire dopo la visione. Fa riflettere e continua a sobillare l’animo umano anche una volta terminato, apre a nuovi orizzonti e possibili chiavi di lettura, lascia un segno.
Basti pensare che alla fine del film in sala, pur non essendo la prima del film, si è sollevato un applauso di gratitudine da parte del pubblico.
Gratitudine per aver fruito di un prodotto, oltre che bello e curato nell’estetica, stimolante e pieno di una realtà conturbante.

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di Veronica Cirigliano
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2021-11-27 08:00:00 ,