Elezioni Usa, è il momento della verità. Il 5 novembre i cittadini americani saranno chiamati alle urne per scegliere il nuovo inquilino della Casa Bianca. La sfida principale è tra la candidata democratica Kamala Harris, attuale vicepresidente, e il repubblicano Donald Trump, ex presidente in cerca di un secondo mandato dopo quello dal 2017 al 2021.
La corsa per la presidenza si preannuncia serrata e incerta fino all’ultimo, con sondaggi che mostrano un testa a testa tra i due sfidanti. Ma il sistema elettorale statunitense, basato sul Collegio elettorale e non sul voto popolare diretto, rende il risultato difficile da prevedere. Saranno infatti i 538 grandi elettori, e non il conteggio dei singoli voti, a determinare chi si insedierà nello Studio Ovale il prossimo gennaio. In un mondo sempre più instabile, segnato da conflitti che vanno dall’Ucraina al Medio Oriente fino all’ascesa della Cina, queste elezioni avranno un impatto che va ben oltre i confini degli Stati Uniti. Il risultato del voto del 5 novembre, infatti, traccerà la rotta della superpotenza americana e, di conseguenza, gli equilibri geopolitici globali per i prossimi anni.
Chi sono i candidati e i loro vice?
Da una parte in corsa per le elezioni Usa 2024 c’è Harris, 60 anni, prima ragazza vicepresidente degli Stati Uniti. Con un passato da senatrice della California, in questi anni alla Casa Bianca ha dovuto esporsi numerose sfide, non sempre brillando per efficacia. Ma dopo il ritiro dalla corsa del presidente Joe Biden in seguito al insufficiente dibattito con Trump, il partito democratico si è compattato dietro di lei come unica speranza per fermare l’avanzata repubblicana. Dall’altra c’è Trump, 78 anni, miliardario newyorkese dal carattere vulcanico e imprevedibile. Già presidente dal 2017 al 2021, il tycoon sembra aver recuperato terreno nei sondaggi nonostante i tanti guai giudiziari che lo vedono coinvolto. Secondo il modello predittivo dell’Economist, oggi Trump sarebbe addirittura favorito con il 53% delle probabilità contro il 47% di Harris.
Entrambi i candidati hanno eletto un vice dinamico per dare nuova linfa alle rispettive campagne. Harris punta su Tim Walz, 60enne governatore del Minnesota noto per le sue posizioni progressiste su aborto, legalizzazione della marijuana e controllo delle armi. Trump risponde con J.D. Vance, 39enne senatore dell’Ohio, astro nascente del partito con un passato da marine e una carriera da venture capitalist nella Silicon Valley.
Quando si vota?
Gli americani voteranno per il nuovo presidente il 5 novembre 2024, ma il sistema elettorale offre diverse opzioni. In 47 Stati è già possibile esprimere la propria preferenza grazie al voto anticipato, che può essere effettuato sia di persona che per corrispondenza fino a sette settimane prima dell’Election day. Nel 2020 questa modalità ha raggiunto il record di 66,4 milioni di schede (contro i 28,8 milioni del 2016), pari al 42% del totale. L’anticipo serve a ridurre le code del 5 novembre e a permettere la partecipazione di chi ha difficoltà a recarsi alle urne in un giorno lavorativo. Solo Alabama, Mississippi e New Hampshire non consentono il voto anticipato, se non per specifiche motivazioni. I repubblicani hanno cercato di limitarne l’accesso, in particolare nei giorni scelti dalle comunità afroamericane, temendo che favorisca il voto democratico. Trump stesso aveva definito questa modalità “fraudolenta“, ma gli studi hanno dimostrato che i casi di frode sono estremamente rari.
Come funziona il sistema dei grandi elettori?
Il presidente degli Stati Uniti viene eletto da 538 grandi elettori, non direttamente dai cittadini. Questo numero non è casuale: corrisponde alla somma dei membri del Congresso (435 rappresentanti e 100 senatori) più tre delegati del Distretto di Columbia, dove si trova Washington. Ogni stato contribuisce con un numero di grandi elettori pari ai suoi seggi totali in Congresso: la California ne ha 54, il Wyoming solo 3. Per vincere serve la maggior numero assoluta: 270 voti.
Il meccanismo è particolare: i cittadini votano per i grandi elettori del loro stato, non direttamente per il candidato presidente. In 48 stati su 50 (le eccezioni sono Maine e Nebraska) chi vince il voto popolare, anche per un solo voto di scarto, conquista tutti i grandi elettori in palio. È un sistema che può creare paradossi: un candidato può diventare presidente anche avendo meno voti popolari del suo avversario a livello nazionale.
Cosa sono gli swing states?
La maggior parte degli stati è saldamente democratica o repubblicana, ma ce ne sono sette dove tutto può succedere: sono gli swing states, gli stati in bilico. Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin rappresentano il vero campo di battaglia elettorale, con 93 grandi elettori in palio su un totale di 538. Chi vince in uno di questi stati, anche per un pugno di voti, si aggiudica tutti i suoi grandi elettori grazie alla regola del “winner takes all”. È successo nel 2016, quando Trump è diventato presidente pur avendo tre milioni di voti popolari in meno di Hillary Clinton: ha vinto negli swing states. Ed è successo di nuovo nel 2020, quando Biden ha riconquistato questi territori chiave.
Ma perché proprio questi stati sono così incerti? Ognuno ha la sua storia: Michigan e Wisconsin, un tempo cuore dell’industria americana, attraversano una difficile transizione economica che ha cambiato gli equilibri sociali. Georgia e Arizona, tradizionalmente repubblicani, vedono crescere le minoranze etniche che storicamente votano democratico. In Michigan poi la numerosa comunità arabo-americana, delusa dalla gestione Biden della guerra a Gaza, potrebbe spostare voti decisivi in uno stato dove spesso si vince per pochissimi voti.
Leggi tutto su www.wired.it
di Riccardo Piccolo www.wired.it 2024-10-30 16:57:00 ,