Non è equo il compenso, se per le piattaforme un attore vale solo lo “zero virgola”. Ne è convinto Elio Germano, uno dei fondatori di Artisti 7607, l’associazione che ha deciso di rivolgersi al tribunale.
Avete deciso di avviare un’azione legale contro Netflix. Perché?
“Per fare rispettare la legge. Il tema è questo: il diritto connesso al diritto di autore. Sono i soldi che raccogliamo e amministriamo con la nostra collecting. Per spiegarla facile: se un brano di Mozart eseguito da una certa orchestra passa in tv tante volte, oltre al diritto dell’autore c’è anche quello dell’interprete. C’è una legge europea che prevede una quota, legata al valore dell’opera, calcolato, nel passaggio in tv in base alla fascia oraria, alla pubblicità che genera. Prima si parlava di equo compenso, oggi come compenso adeguato e proporzionato ai ricavi dell’emittente stessa. Parte di quanto ricavato dal prodotto deve essere dato in percentuale all’autore e, per una parte più bassa, all’interprete: attore, musicista, ballerino. Ma le piattaforme oggi non comunicano i ricavi, né quante volte viene vista l’opera che è on demand, né il totale degli abbonamenti nel nostro Paese. Questo rende impossibile calcolare la cifra dovuta perché mancano gli strumenti. Se un’altra collecting “competitor” (Nuovo Imaie, Nuovo Istituto mutualistico Artisti Interpreti Esecutori ndr.) accetta cifre – ad esempio da Netflix – che per noi sono ridicole, questo crea un danno, perché queste quote di trasformano poi in legge di mercato. Noi abbiamo una politica diversa: porteremo in tribunale tutte le piattaforme che sono illegali in quanto non trasparenti”.
Artisti 7607 riguarda solo gli attori.
“Sì, siamo nati come alternativa alla vecchia Imaie e ci concentriamo sugli attori, anche per evitare conflitti di interesse tra le varie categorie. Abbiamo creato una società di collecting con una visione mutualistica, un sistema di welfare per aiutare chi guadagna meno e con i soldi che sono nostri di diritto. Senza chiedere soldi allo Stato. I più ricchi aiutano chi guadagna meno. Abbiamo stanziano fondi per il rimborso dei provini, per le avvocature, assicurazioni sanitarie, fondi per chi è genitore, formazioni gratuite di vario tipo.
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Di fronte a un mercato sempre più lucroso per le piattaforme, vogliamo salvaguardare i tanti attori non famosi che sono sfruttati, che si vedono assegnare cifre insignificanti anche rispetto a opere di grande successo: parliamo di “zero virgola”, appunto. Il nostro lavoro è iniziato tanto tempo fa con le televisioni, Rai e Mediaset, che operavano fuori dalle regole e siamo riusciti a portarle verso la trasparenza e ai compensi dovuti, pur se lontani dal resto d’Europa e mai adeguati all’inflazione. E anche se ora c’è stata una moltiplicazione dei canali e delle versioni on demand anche per loro. Cerchiamo di fare la stessa cosa con le piattaforme. La cui politica è sempre stata uscire dalla logica del flop e il successo, conoscono solo loro le vere entità delle visualizzazioni. Sono multinazionali e rispondono ai loro interessi che spesso sovrastano quelli degli stati”.
Com’è la situazione in Europa?
“Ci sono vertenze aperte in vari Paesi. La legge è dalla nostra parte. Inutile dire che in Paesi come la Francia il governo ha una politica ben diversa rispetto ai giganti dello streaming. Noi in Italia non abbiamo un appoggio istituzionale, ce la dobbiamo cavare da soli. Ma le leggi ci sono e ogni volta che siamo ricorsi ai giudici ci hanno dato ragione. Non vogliamo leggi nuove, ma che quelle esistenti siano rispettate, e che chi non lo fa sia punito. Solo questa è la base per avviare una contrattazione”.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2023-03-25 08:27:48 ,www.repubblica.it