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Data : 2022-12-05 08:47:29
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La deputata Elly Schlein si è candidata alle primarie del PD del prossimo marzo per diventare segretaria del partito. Gli altri candidati sono l’ex ministra Paola De Micheli e il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Dentro e fuori dal PD diverse persone ritengono Schlein una buona figura per una fase di ricostruzione, anche perché ha un profilo diversissimo da tutti gli attuali dirigenti e volti noti del partito, responsabili dei risultati deludenti degli ultimi anni. Da tempo Schlein non fa parte del PD, ma si iscriverà appositamente per partecipare alle primarie.
Schlein è nata a Lugano, in Svizzera, ha 37 anni e dietro di lei ha una storia familiare particolare. Suo nonno materno era Agostino Viviani, partigiano e poi rispettato senatore del Partito Socialista. Il nonno paterno invece emigrò negli Stati Uniti da Leopoli, che oggi si trova in Ucraina, per sfuggire alle persecuzioni contro gli ebrei.
Schlein arrivò in Italia a 19 anni e si stabilì a Bologna, dove studiò giurisprudenza. Fu in quegli anni che diventò politicamente attiva: fu eletta due volte nel Consiglio di facoltà come rappresentante degli studenti, e nel 2008 partecipò come volontaria della campagna elettorale di Barack Obama per diventare presidente degli Stati Uniti.
Nel 2011 Schlein si laureò in giurisprudenza con una tesi sulle persone straniere detenute nelle carceri italiane. Dopo una breve carriera come giornalista di cinema, nel 2013 diventò la figura più riconoscibile di OccupyPD, un movimento formato soprattutto da giovani attivisti e attiviste del partito che si opponevano all’eventualità di un governo di «larghe intese» con il centrodestra. Schlein si fece notare a tal punto che riuscì a entrare nella direzione nazionale del partito, nella quota riservata alle persone vicine a Pippo Civati, e poi a candidarsi alle europee: nel maggio del 2014 ottenne 53mila preferenze, una montagna di voti per una 29enne semisconosciuta.
Al Parlamento Europeo Schlein si è occupata soprattutto di immigrazione. Per due anni fu la relatrice dei Socialisti europei alla riforma del regolamento di Dublino, la principale norma europea sul diritto di asilo: attualmente stabilisce che il compito di ospitare ed esaminare la richiesta di asilo di una persona che entra in territorio europeo debba essere del primo stato in cui mette piede. Insieme ai colleghi del centrodestra e dei Liberali, Schlein trovò un compromesso per modificare il regolamento rendendo automatico il ricollocamento dei migranti negli altri paesi europei, ma la proposta finale del Parlamento non fu mai approvata dal Consiglio dell’Unione Europea, cioè l’organo dove siedono i rappresentanti dei vari governi nazionali, soprattutto a causa dell’opposizione dei paesi dell’Est.
In quel periodo di Schlein si parlò soprattutto a causa dei suoi contrasti con la Lega: vi fu un video che circolò parecchio, pubblicato nel gennaio del 2020 e in cui Schlein affrontava Salvini sulla gestione dei migranti. La riforma era complessa e assorbì per quasi due anni il lavoro di Schlein e delle altre parlamentari europee che ci lavorarono. Eppure alle 22 riunioni di negoziato – cioè quelle in cui i relatori dei singoli partiti trattavano i punti principali della proposta – non partecipò mai alcun rappresentante della Lega, che invece sosteneva a più riprese che le leggi europee in materia di immigrazione dovessero essere modificate.
Finalmente, dopo anni che faccio la stessa domanda a Salvini senza risposte, ieri sera gliel’ho fatta in faccia. Perché a Bruxelles non siete mai venuti alle 22 riunioni di negoziato sulla riforma migratoria più importante per l’Italia?
Giudicate voi la risposta. @CoraggiosaEr pic.twitter.com/0nH3UZDDHA— Elly Schlein (@ellyesse) January 21, 2020
Molto probabilmente la Lega decise di non partecipare perché al Parlamento Europeo le forze più istituzionali si rifiutano di collaborare con i partiti di estrema destra, nella logica del cosiddetto “cordone sanitario”. Schlein però aveva invitato più volte i parlamentari leghisti a offrire il loro contributo, e sia pubblicamente sia privatamente si era detta più volte stupita del fatto che non lo facessero, salvo poi attaccare l’Unione Europea per non aiutare a sufficienza l’Italia.
Schlein ne chiese conto pubblicamente a Salvini quando lo incontrò per caso a San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna. Il video del loro incontro ottenne mezzo milione di visualizzazioni su Twitter e venne ripreso da tutti i principali quotidiani e tv.
Il progressivo aumento del suo consenso personale non fu accompagnato da significativi avanzamenti di carriera nei partiti tradizionali. Nel 2015 Schlein uscì dal Partito Democratico in polemica con la svolta imposta al partito da Matteo Renzi per unirsi a Possibile, il partito di sinistra fondato da Pippo Civati, da cui però si allontanò progressivamente. Nei mesi precedenti alle elezioni europee del 2019 tentò una manovra piuttosto spericolata per cercare di mettere insieme una lista unitaria di sinistra che si presentasse come un progetto «fresco nel linguaggio, innovativo nei metodi, nei contenuti e anche nei volti», come scrisse sul suo blog, facendo capire che altrimenti non si sarebbe ricandidata.
In effetti non lo fece, nonostante verso la fine del mandato il nuovo segretario del PD Nicola Zingaretti le chiese esplicitamente di tornare nel partito e ripresentarsi alle elezioni europee.
La scelta di non ricandidarsi lasciò perplessi diversi osservatori, ma Schlein spiegò che non si sarebbe sentita a suo agio né in una delle varie liste alla sinistra del PD né dentro il partito stesso, che aveva abbandonato ormai da quattro anni: «Non volevo e non potevo fare scelte che sarebbero, al contrario, estremamente divisive, anche tra le persone e realtà con cui ho lavorato fianco a fianco», scrisse di nuovo sul suo blog.
Nelle settimane successive alle elezioni europee Schlein iniziò a lavorare alla lista con cui si sarebbe presentata alle elezioni regionali in Emilia-Romagna: Coraggiosa, che ottenne il 3,77 % del totale. Schlein risultò la candidata col consenso personale più alto e Stefano Bonaccini, che vinse confermandosi per un secondo mandato consecutivo, la nominò vicepresidente affidandole la delega al welfare e alle politiche per il clima.
Nel settembre 2020, in occasione del referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, Schlein annunciò il suo voto contrario, in contrasto con la posizione del suo presidente di regione e del PD.
Alle politiche dello scorso settembre si è candidata alla Camera dei deputati come indipendente nelle liste del PD, in posizione di capolista in un collegio plurinominale in Emilia Romagna. Una volta eletta si è dimessa da vicepresidente della regione. Fa parte della commissione Affari costituzionali.
Schlein è nota e apprezzata soprattutto da elettori e elettrici del centrosinistra per le sue posizioni progressiste su persone migranti, parità di genere, disoccupazione giovanile, diritti delle cosiddette minoranze e delle persone LGBT+ (lei stessa ha fatto coming out nel 2020 mentre era ospite a L’Assedio, il programma di Daria Bignardi).
Schlein è una convinta federalista: appartiene cioè alla corrente di pensiero per cui le istituzioni europee debbano assumere una sempre maggiore quota di poteri, sottraendoli agli stati nazionali. Durante il discorso con cui ha annunciato la sua candidatura ha parlato di lavoro e precarietà, diritti, giustizia sociale e ambientale. Ha difeso il reddito di cittadinanza, si è opposta alle trivelle nel mare, al consumo di suolo, ai condoni, ha parlato di cura del territorio, di congedo paritario per i padri, di «beni comuni da sottrarre alla logica del mercato», di sostegno alle piccole e medie imprese nella transizione ecologica.
Schlein ha poi chiesto un «rinnovamento a tutti i livelli» nel partito, sia nella dirigenza sia nelle priorità. In sala, durante il suo discorso, c’erano il vicesegretario Peppe Provenzano, la deputata Michela De Biase, Marco Furfaro, l’ex deputato Erasmo Palazzotto, Cecilia D’Elia, la consigliera regionale del Lazio Marta Bonafoni, Laura Boldrini e Cesare Damiano. Schlein è sostenuta piuttosto apertamente dal segretario uscente Enrico Letta e anche da Dario Franceschini.
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