È piccola criminalità da salotto, un traffichino romano in erba che cerca qualcosa di più dalla vita. Siamo abituati a film italiani che sono una cosa sola. Alle volte lo sono bene (e ci piacciono), altre lo sono male. Ma sono quasi sempre una cosa sola. In Enea c’è continuamente un dettaglio fuori posto e fuori asse che tuttavia non rende il film brutto, anzi, quel qualcosa che non sappiamo identificare ma che non va, gli dà fascino. Perché è un film che non sta lì a fare di tutto per piacere ma vuole battere una sua strada. Nonostante in più momenti, e specialmente nella seconda parte, perda in velocità e ritmo e cominci a vagare con il senso, sempre meno a fuoco e sempre più esagerato con gli eventi, è di certo un film che è tante cose insieme, anche contraddittorie. E mentre mostra una storia che altrove sarebbe usuale, esce sempre più forte la sensazione che questi protagonisti siano in cerca di qualcosa che non sanno nemmeno loro identificare. Più fanno festa, più sembrano soddisfatti dello status raggiunto, più ci appaiono amari e mesti, in corsa verso un finale duro.
Si veda come rappresenta la famiglia, che è forse il tema più raccontato dal cinema italiano. Qui è un’alcova che tiene i figli bambini, che propaga se stessa, che massacra la piena realizzazione di ognuno, eppure non è solo quello, è anche un clan. Si guardi come rappresenta un 30enne: Enea pensa che nella vita si debba vincere e il locale o la cocaina sono mezzi per vincere, non ha una morale propriamente detta anche se la cocaina ha smesso di tirarla da quando ha conosciuto una ragazza (Benedetta Porcaroli) e ha intenzione di sposarla. Gli italiani tradizionali sotto altre vesti, quelli che si professano attaccati ai grandi valori, aggiornati solo in superficie ad una vita moderna ma che poi non hanno una chiarissima idea del mondo che li circonda. E per questo fanno ridere. Banali come poche altre cose.
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di Gabriele Niola www.wired.it 2023-09-05 17:15:00 ,