Tenta un primo bilancio della sua vita e della sua carriera Enrico Ruggeri, che il prossimo 5 giugno spegnerà 67 candeline. Nel suo libro «40 vite (senza fermami mai» edito da La nave di Teseo, il cantante ripercorre gli ultimi decenni attraverso i suoi 40 dischi. E guardandosi indietro, Ruggeri al Messaggero non risparmia critiche al mondo musicale di oggi, tanto diverso quanto secondo lui peggiore rispetto a quello dei suoi anni: «Tutto è diverso da un tempo – dice il cantautore – Noi suonavamo, oggi ci sono i pc. Stare in uno studio due mesi, giorno e notte, per registrare un disco con persone come te, ormai non si fa più. Creare senza pensare solo al mercato è qualcosa che i giovani non conoscono». Eppure Ruggeri dice di non voler passare per un nostalgico dei bei tempi andati: «Non voglio fare il cantante boomer ipercritico, però quelli di adesso non hanno mai letto un libro, si capisce da quello che dicono: sembrano messaggi di Whatsapp. Gente come De Gregori, De André o Battiato prima di scrivere canzoni avevano sviluppato un loro mondo interiore. Oggi il concetto di idea è stato sostituito dalla “trovata”».
Penalizzato perché non di sinistra
Alcuni grandi successi Ruggeri li ha ottenuti con brani scritti per altri, come «Il mare di inverno» per Loredana Berté o «Quello che le donne non dicono» per Fiorella Mannoia. Il suo nome tra i grandi cantautori spesso non viene citato: «Ma lo sono per chi mi ferma per strada, meno per certa stampa. Questo, francamente, mi dispiace». Tutta colpa del suo non essere allineato, dice Ruggeri, se il suo nome non gode del prestigio che sperava: «Non aver avuto un vero manager – dice – e non aver mai fatto parte del mainstream di sinistra». Ricorda come al liceo Berchet di Milano si sia sempre ribellato al «pensiero unico di sinistra che dominava».
La dittatura del lockdown
Ma Ruggeri rifiuta le etichette politiche: «Posso avere posizioni sia di destra sia Dini sinistra. Sono un uomo libero». E quindi arriva il commento sul governo Meloni: «Ci vuole tempo per giudicare, però finora, malgrado l’opposizione e certi giornali dicano il contrario, mi sembra ci sia più apertura mentale di altri vecchi governi molto più dogmatici». Di dirsi antifascista, Ruggeri non sembra aver grande voglia: «L’unica dittatura che ho conosciuto è stata quella del lockdown, quando non si poteva uscire di casa senza Green pass e ti rincorrevano con l’elicottero se correvi in spiaggia. Mi spaventa un po’ questa domanda…». La paura di Ruggeri arriva da lontano, spiega: «Mi ricorda gli anni ’70, quando a Milano uno studente di destra, Sergio Ravelli, 19 anni, scrisse un tema per denunciare le violenze delle Brigate Rosse e il mancato cordoglio istituzionale dopo la morte a Padova di due militanti del MSI aggrediti in una sede cittadina. Quel tema – ricorda Ruggeri – fu messo nella bacheca della sua scuola e pochi giorni dopo Romani fu ucciso sono casa a colpi di chiave inglese in testa». Insomma, per Ruggeri chiedere se uno è antifascista «mi puzza di pre-dittatura».
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Scritto da Redazione perwww.open.online il 2024-05-26 06:07:09 ,