Non con il gioco, con il cuore. Non col palleggio, con la difesa e la concentrazione. Forse non del tutto con merito, persino con un pizzico di fortuna, per quel cambio rimandato prima del gol di Chiesa, perché ai rigori, e in generale nel calcio, ce ne vuole tanta, e al ct Mancini non è mai mancata. L’Italia è in finale. A Wembley ha battuto la Spagna, 1-1 dopo i supplementari, 5-3 dopo i calci di rigore. L’Italia ha vinto alla vecchia maniera. All’estero gli spagnoli esteti del bel calcio (stasera lo hanno giocato davvero) diranno facendo catenaccio. Ma che importa se questa squadra oltre a divertire sa anche soffrire. E poi ha la classe dei campioni, perché Donnarumma che para tutto compreso il penalty decisivo a Morata, Chiesa che segna un gol così in una semifinale europea, lo sono davvero.
Non è solo fortuna se dal dischetto l’Italia stavolta vendica la sconfitta contro la Spagna del 2008 e della finale 2012, cancella l’amarezza dell’eliminazione contro la Germania nel 2016. Semmai, è per la fortuna che aiuta gli audaci, non i più belli di questa sera, ma i più coraggiosi. Nelle prime quattro partite (ottavi con l’Austria compresi) l’Italia aveva incontrato squadre inferiori. Nei quarti una grande nazionale, il Belgio, ma con mentalità e attitudine differente, abituata a scatenarsi negli spazi aperti, pronta a concedere il possesso che l’Italia si è preso e non ha più mollato. Stavolta con la Spagna è stato diverso. Perché dall’altra parte c’era una formazione simile, che come la nazionale di Mancini ama comandare il gioco, tenere tanto la palla, passare dai registi ed arrivare in porta col gioco. Solo che di quest’arte sono maestri.
Per novanta minuti, anzi centoventi, quasi tutti per intero, hanno tenuto loro in mano le redini del gioco. Con tocchi, tocchetti, triangolazioni, a volte snervanti, ma terribilmente efficaci se in grado di rintanare nella sua metà campo la nazionale azzurra, fino ieri elogiata per gioco e personalità. Oggi si è dovuta trasformare, rifugiare nella tradizione, rispolverare le vecchie armi che hanno retto la baracca. Soprattutto nella prima e nell’ultima mezzora, sempre a rincorrere uno scatenato Dani Olmo tra le linee, mentre gli avversari facevano correre la palla. La guerra di nervi è finita in pareggio, la battaglia tattica probabilmente l’aveva vinta Luis Enrique, lasciando all’inizio Morata in panchina per togliere riferimenti alla coppia Bonucci–Chiellini, poi inserendolo nella ripresa e mandando in tilt la difesa azzurra. Per gran parte della gara l’Italia ha dovuto deve accettare minuti di interminabile palleggio avversario. Poteva far male solo recuperando palla e saltando il pressing avversario, ma ci è riuscito poco. Un paio di fughe clamorose di Emerson a sinistra, occasioni per Immobile e Barella, ma soprattutto Dani Olmo. Si va al riposo sullo 0-0, in perfetto equilibrio, ma con la sensazione fastidiosa di star giocando la partita di qualcun altro.
Nella ripresa l’Italia difende ancora più bassa, con undici uomini nella sua trequarti, Mancini sente che deve cambiare qualcosa. Sta per entrare Berardi, e non sapremo mai davvero per chi, il cambio naturale sarebbe stato Chiesa, ma prima della sostituzione arriva il gol. Immobile si butta nello spazio, la difesa spagnola chiude con affanno ma sulla palla vagante arriva Chiesa, che pennella una magia all’angolino, il colpo del campione. L’Italia è in vantaggio, la Spagna furiosa. Se prima già era un dominio ora è un assedio. Anzi, una corrida. Oyarzabal divora subito il pareggio, anche Berardi sfiora il raddoppio e sarebbe il colpo del ko. Mancini si chiude tanto, senza punte e con la difesa a cinque, forse troppo presto: anche se il palleggio della Spagna è sempre più lento, affaticato, a dieci minuti dalla fine arriva il pareggio, in un buco in mezzo alla difesa in cui si infila lesto Morata. L’Italia a quel punto si ritrova psicologicamente ma pure tatticamente stravolta, può solo guadagnare i supplementari. Un’altra mezzora di sofferenza, di salvataggi in area, ma pure di urla strozzate in gola, per un gol in fuorigioco di Berardi e un contropiede sprecato. Poi, i rigori. Sbaglia Morata, quello decisivo lo segna ovviamente Jorginho, che qualcuno vorrebbe addirittura pallone d’oro. Per adesso è “solo” campione d’Europa col Chelsea. E in finale agli Europei, con questa Italia. Che continua a sognare.