La disinformazione sui cambiamenti climatici corre su Facebook, proprio nelle ore in cui alla Cop26 di Glasgow si concentrano le energie migliori del Pianeta per mettere a punto una strategia di contrasto alla catastrofe ambientale incombente. Studi recenti di organizzazioni indipendenti di monitoraggio dei social network indicano che, nonostante gli ingenti sforzi anche finanziari messi in campo da Facebook (o per meglio dire Meta, la nuova azienda-ombrello appena annunciata da Mark Zuckerberg), sulla piattaforma trovano spazio indisturbato centinaia di pagine, gruppi, post contenenti false informazioni, teorie del complotto, negazionismo dell’emergenza climatica.
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Secondo una ricerca dell’organizzazione ambientalista no-profit “Stop Funding Heat”, insieme al Real Facebook Oversight Board (gruppo nato in antagonismo con l’Oversight Board creato da Facebook lo scorso anno), dall’analisi di oltre 195 tra pagine e gruppi presenti su Facebook sono emersi almeno 818.000 post in cui l’emergenza dei cambiamenti climatici veniva negata, minimizzata o contestualizzata con argomenti falsi e fuorvianti. Il livello di interazione con questi post è elevato: almeno 1,36 milioni di visualizzazioni al giorno.
Si tratta di post a volte banali ed elementari nel loro confezionamento, grotteschi nelle immagini (molto usati volti di leader ambientaliste come Greta Thunberg e Alexandria Ocasio-Cortez), con messaggi stringati che ridicolizzano e banalizzano gli allarmi sul riscaldamento globale, l’innalzamento del livello degli oceani, le ondate di incendi devastanti.
La ‘menzognà di Facebook
Il dataset usato nella ricerca è limitato ai contenuti di lingua inglese, e gli analisti formulano l’ipotesi che il volume di disinformazione presente sulla piattaforma sia di gran lunga più ampio (8-13% in più) rispetto a quello che Facebook stessa ammette e di cui si è impegnata a garantire il fact-checking attraverso il suo Climate Science Center.
La pubblicità ingannevole
La disinformazione è anche redditizia, se Facebook ha accettato la pubblicazione di oltre 100 pubblicità contenenti dichiarazioni antiscientifiche sul clima, tra cui l’affermazione che “i cambiamenti climatici sono una bufala”. I ricavi di queste pubblicità, calcola lo studio, si aggirano tra i 58mila e i 75mila dollari e i contenuti sono stati visualizzati oltre 10 milioni di volte.
Tra negazionismo e complottismo
Se la scala del danno è ampia, l’origine della disinformazione – almeno in lingua inglese – sembra essere concentrata in pochi soggetti. Una decina di pubblicazioni online, in testa a tutte il sito dell’estrema destra Usa Breitbart, sarebbe responsabile della pubblicazione del 70% dei contenuti falsi sui cambiamento climatici, secondo un altro studio recente del Center for Countering Digital Hate. Molti di questi siti sono gli stessi da cui sono partite campagne di negazionismo e complottismo sul Covid19 e sui vaccini. A dimostrazione che esiste una saldatura di interessi politico-economici, con ramificazioni internazionali, dietro la diffusione coordinata e sistematica di misinformazione scientifica.
Facebook risponde alle critiche contestando il metodo a suo giudizio poco rigoroso di queste ricerche, l’attendibilità e rilevanza dei dati e dunque le conclusioni che se ne traggono. “Questo rapporto usa numeri inventati e una metodologia non corretta per suggerire che il contenuto su Facebook sia disinformazione, quando in realtà si tratta solo di post con cui questi gruppi non sono d’accordo dal punto di vista politico. Infatti, ci sono state oltre 140 milioni di interazioni con i contenuti sul cambiamento climatico durante lo stesso periodo di tempo – più di 14 volte le interazioni che questo rapporto sostiene. Siamo concentrati sulla riduzione dell’effettiva disinformazione sul clima sulla nostra piattaforma, ed è per questo che collaboriamo con una rete globale di fact-checkers e riduciamo la distribuzione di tutto ciò che valutano come falso o fuorviante – e rifiutiamo qualsiasi inserzione pubblicitaria che è stata smentita”.
Peccato che proprio in queste settimane, con i Facebook Papers ricavati dalle dichiarazioni dell’ex dipendente “whistleblower” Frances Haugen, stia emergendo con evidenza la disinvoltura con cui Meta/Facebook tratta proprio i dati e le sue stesse ricerche interne, di certo più accurate e in certi casi più devastanti di quelle che qualsiasi analista esterno all’azienda potrebbe mai produrre: ignorandole o sminuendole.
“Facebook non può e non intende autoregolarsi”, accusa il Real Facebook Oversight Board. “Abbiamo bisogno di un monitoraggio concreto, indipendente, trasparente che venga dall’esterno, e di regolamentare e indagare tutte le attività di Facebook, compresa la pericolosa diffusione di disinformazione sul clima”.
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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2021-11-04 21:22:11 ,
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