di Viola Stefanello
Secondo Politico, in alcuni dei gruppi i sostenitori dello Stato Islamico — che è ormai distante dall’estensione che aveva raggiunto nel 2015, ma che continua a terrorizzare soprattutto alcune zone dell’Iraq e della Siria rurale — condividono apertamente collegamenti ai propri siti web, colmi di propaganda fondamentalista. Altrove, gli utenti filo-talebani hanno postato regolarmente aggiornamenti sulla conquista dell’Afghanistan da parte del gruppo durante l’estate.
Se agli occhi dell’utente medio le differenze tra le varie milizie sono minime, però, questi gruppi Facebook riflettono tutte le tensioni e le rivalità che esistono tra di loro offline. Come mostrano i documenti trapelati da Haugen, l’intensità delle faide tra gruppi – e in particolare tra utenti sciiti e sunniti in un contesto iracheno – ha portato addirittura i dipendenti a parlare di “cyber-eserciti” pronti a tutto per eliminare i nemici dallo spazio digitale. Ed è qui che entra in scena il porno.
Guerra a luci rosse
I nuovi documenti, infatti, sottolineano un fenomeno bizzarro, ma che denota una conoscenza approfondita del funzionamento della piattaforma: in un assurdo susseguirsi di trolling, i gruppi di jihadisti ricorrono spesso alla pubblicazione di foto e video pornografici nei commenti delle pagine o nei gruppi dei propri rivali.
Considerata l’estrema attenzione – che spesso sfocia in una censura ridicola – che Meta presta nei confronti dei contenuti di nudo, questi cyber-guerrieri ricorrono infatti a illustrazioni del kamasutra o screenshot di hentai nella speranza che gli stessi sistemi di moderazione che non eliminano i contenuti estremisti si attivino per eliminare la pornografia, trascinando via con sé i gruppi rivali.
“Gli utenti iracheni sono a conoscenza della politica di tolleranza zero di Facebook nei confronti della pedopornografia, e questa conoscenza viene usata dai cyber-eserciti per provare a far chiudere alcune pagine”, si legge nei documenti leakati.
Amichevoli troll di quartiere?
A ricorrere a queste tattiche, però, non sono soltanto le cyber-milizie: secondo un’analisi di The Daily Beast, a postare immagini pornografiche ci sono anche piccole orde di giustizieri improvvisati. Stanchi di abitare spazi digitali colmi di odio, violenza e propaganda, c’è quindi chi infiltra questi gruppi per darsi alla pubblicazione sistemica di porno giapponesi e intricate posizioni sessuali illustrate.
Non è la prima volta che questa tecnica viene utilizzata per bombardare digitalmente i jihadisti: dopo l’attacco terroristico a un gay club di Orlando nel 2016, diversi membri del collettivo hacker Anonymous si erano organizzati per violare centinaia di account Twitter associati a membri dell’Isis e riempire i loro profili di contenuti pornografici e a favore dei diritti lgbt+. “Alcuni di noi hanno scoperto una vulnerabilità e abbiamo pensato di cominciare a prendere il controllo dei loro profili e umiliarli”, aveva raccontato un membro del collettivo.
Nel 2020, poi, dei troll mai identificati avevano gettato diversi canali Telegram legati all’Isis nel panico spammando montagne di materiale pornografico. Portando, non senza una certa ironia della sorte, i simpatizzanti jihadisti a chiedere a gran voce l’intervento di un moderatore.
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www.wired.it
2022-01-21 06:00:00