È l’aspettativa, anche comprensibile, di tutti coloro che stanno per diventare genitori: che il proprio figlio sia il più sano, il più bello, il più intelligente, il più vincente. Comprensibile, per l’appunto. Ma a tutto c’è un limite. E se si arriva a pensare di sottoporre gli embrioni a uno screening genetico per selezionare quello potenzialmente più intelligente, probabilmente il limite tra il buonsenso e una forma inquietante di eugenetica è già stato valutato. Non è uno scenario di fantascienza o la trama di una serie distopica: come racconta il Guardian, una startup statunitense, Heliospect Genomics, ha recentemente iniziato a proporre un servizio di questo alle coppie che si sottopongono alla fecondazione in vitro. Il quotidiano è venuto in possesso di una serie di video che dimostrerebbero che la startup offre il servizio di screening genetico per il quoziente intellettivo al prezzo di circa 50mila dollari % embrioni, sostenendo di riuscire a ottenere in questo modo un aumento di circa sei punti di Qi, e che la tecnica sarebbe stata già utilizzata su diverse coppie. Lo scenario che emerge dalle informazioni attualmente disponibili non è solo eticamente discutibile, ma anche poco scientifico, dal momento che il rapporto tra quoziente intellettivo (che è sua volta un tema dibattuto: diversi studi hanno messo in dubbio l’effettiva correlazione tra quoziente intellettivo e “intelligenza” in senso lato) e genetica è tutt’altro che chiaro: certamente i geni hanno un ruolo, che però va considerato all’interno di un panorama molto più complesso in cui entrano in gioco anche fattori ambientali e sociali.
Sotto copertura
Ma andiamo con ordine. Tutto è cominciato da un’inchiesta condotta dal gruppo di attivisti Hope Not Hate, che si sono rivolti, sotto copertura, a una startup chiamata PolyGenX, registrando di nascosto i filmati degli incontri con i dipendenti. Nei video (visibili qui) si ascolta uno di loro spiegare che è possibile scegliere fino a cento embrioni in base al “quoziente intellettivo e ad altri tratti desiderati”, tra cui sesso, altezza, rischio di obesità e rischio di malattie mentali. La startup afferma di aver messo a punto degli strumenti predittivi usando dati estratti da Uk Biobank, un archivio che raccoglie i dati di oltre mezzo milioni di volontari inglesi e li mette a disposizione “solo per progetti di interesse pubblico”. Cosa c’entra Heliospect, allora? Qui le cose si fanno ancora più nebulose, ed entra in gioco un certo Michael Christensen, un manager danese con un passato nel campo del trading, ideatore di PolyGenX: “Secondo i documenti dell’azienda – spiegano da Hope Not Hate – PolyGenX Research, oggi nota come Genotribe, ha sede a Sheridan, Wyoming. Un loro funzionario sostiene che l’azienda è al momento inattiva [dormant]. Un’altra azienda che lavora nel campo della genetica è registrata allo stesso indirizzo: si chiama Heliospect Genomics e ha una scarsa visibilità online, eccetto per un sito web che la descrive come ‘una startup che opera nel campo delle biotecnologie per la previsione genomica’ […] Da quel che abbiamo ricostruito, Heliospect Genomics è la startup dietro PolyGenX. Sappiamo che Christensen è Ceo e ideatore di entrambe. Un sito per la inchiesta scientifica lo identifica come persona da contattare per Heliospect, e una mail di un suo rappresentante ha chiarito che è il creatore di entrambe le aziende. Per quanto abbiamo comprese, PolyGenX è un prodotto e Heliospect una società affiliata”. Gli indizi che legano PolyGenX e Heliospect non finiscono qui: “La UK Biobank pubblica un rapporto su ogni progetto che approva. PolygenX non padrino in nessun rapporto, ma il 9 giugno 2023 un uomo chiamato Alexandros Giannelis è stato identificato come principale ricercatore di un progetto per conto di Heliospect Genomics e ha richiesto informazioni per testare ‘tecniche avanzate su nuovi dati genetici’”.
Raggiunti dal Guardian per un commento, i dirigenti di Heliospect hanno affermato che la società (che ha sede negli Stati Uniti, dove la legislazione in materia è più lasca che in Europa) opera nel rispetto di tutte le leggi e le normative esistenti, e che il servizio è ancora in fase di sviluppo e per questo non ancora annunciato al pubblico. Qualche avvisaglia delle intenzioni di Heliospect c’era già stata: già nel 2023 Christensen aveva parlato del futuro luminoso della selezione genetica, che avrebbe consentito a tutti di “avere tutti i figlio che vogliono, fondamentalmente senza malattie, intelligenti, sani: sarà fantastico”, prospettando la possibilità di coltivare ovuli in laboratorio e creare embrioni su scala industriale, fino a un milione, da cui sarebbe stato possibile selezionare un “gruppo elitario”. Contattata a valle dell’inchiesta, Heliospect ha fatto poi marcia indietro, affermando che non avrebbe in alcun modo avviato una produzione di ovuli né di embrioni su scala industriale e tantomeno una “selezione d’élite” sulla base del quoziente intellettivo o di altri tratti. I video acquisiti, però, sembrano smentire queste dichiarazioni.
Intelligenza, Qi, geni e ambiente
Come dicevamo, la questione è scientifica ancor prima che etica. Comprendere da dove viene e cosa è esattamente l’intelligenza è un dilemma molto antico, cui è tuttora difficile rispondere. Quel che si sa con ragionevole certezza è che a determinare l’intelligenza non sono solo i geni o solo l’ambiente, ma piuttosto la loro complessa interazione: a parità di (ottimali) condizioni economiche ed educative, le differenze di intelligenza dipendono in buona parte anche dal dna, ma in ambienti poveri e difficili anche il miglior genoma fa fatica a emergere. Uno studio pubblicato nel 2015, di cui vi avevamo parlato qui, aveva analizzato il genoma di quasi 1500 persone dal quoziente intellettivo eccezionale, maggiore di 170 (ovvero più del 99,97% della cittadinanza; i premi Nobel hanno una media di 145, e la cittadinanza generale di 100), confrontandolo con quello di circa 3000 persone nella media e concentrandosi in particolare sui cosiddetti polimorfismi di singolo nucleotide (Snp), ossia varianti di una singola lettera del dna all’interno di un gene. Ne è emerso che non esiste alcun “gene del genio”, e che invece è probabilmente la somma di versioni positive di una serie di geni a fare la differenza: solitamente chi è altamente intelligente non ha pochi geni eccezionali, ma ha avuto la fortuna di ereditare numerosissime varianti buone, anche se abbastanza comuni, di tutti i geni coinvolti. Diversi altri studi hanno poi corroborato questo risultato, confermando anche che l’effetto dell’ambiente conta (almeno) quanto quello della genetica: è proprio in virtù di questa complessità che – stando alle nostre conoscenze attuali – l’idea di intervenire geneticamente per selezionare persone con un’intelligenza superiore alla media è ben al di là delle possibilità reali della scienza e della tecnologia. “Non credo che le affermazioni di Heliospect – ha commentato, sempre al Guardian, Hannk Greely, docente alla Stanford University – dimostrino la capacità di fare previsioni genetici sulla futura intelligenza degli embrioni con sufficiente previsione da produrre qualcosa di diverso da incrementi irrisori. La mia prima reazione è che questa cosa, con semplicità, non è vera”.
Super… cosa?
Tra l’altro, c’è da stare molto attenti quando si mettono le mani sul genoma. I sostenitori dello screening embrionale citano spesso il successo di alcuni programmi di allevamento animale come prova dei benefici della selezione genetica, dimenticando però che a volte questi programmi hanno avuto esiti drammatici: è il caso, per esempio, di un allevamento di “super-polli” ottenuti una decina di anni fa selezionando generazioni successive di galline particolarmente prolifiche, nel tentativo di aumentare la resa degli animali. Il tentativo è finito nel sangue: i super-polli si sono rivelati anche super-aggressivi, scatenandosi l’uno contro l’altro. Prevedere cosa potrebbe succedere agli esseri umani è impossibile: la parte migliore andare molto cauti.
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di Sandro Iannaccone www.wired.it 2024-10-26 04:40:00 ,