La Fed alza i tassi di interesse dello 0,25%. Il costo del credito nelle operazioni di mercato aperto sarà così tenuto nel corridoio fra il 4,75% e il 5%, dal 4,50-4,75%. Con questa stretta la banca centrale americana conferma la sua determinazione nella lotta all’inflazione. anche se il comunicato emesso al termine della riunione segnala qualche segnale di prudenza, probabilmente in una chiave di risk management.
A gennaio, la Fed spiegava che ulteriori rialzi «saranno» appropriati. Ora, a marzo, si limita a dire che «potrebbero essere appropriati». Se la diagnosi dell’economia non cambia in modo significativo – l’inflazione è calata, ma resta «elevata» – viene aggiunto un importante passaggio: «I recenti sviluppi – e il riferimento è alle difficoltà di alcune aziende di credito – verosimilmente risulteranno in condizioni creditizie più restrittive per le famiglie e le imprese e peseranno su attività economica, assunzioni e inflazione», in misura però «incerta». Queste condizioni creditizie più restrittive corrispondono negli effetti, ha spiegato Jerome Powell in conferenza stampa, a ulteriori rialzi dei tassi per così dire “decisi” dal mercato.
Le proiezioni economiche indicano un’attività economica decisamente meno brillante rispetto a dicembre: +0,4% il pil di quest’anno (dallo 0,5%), +1,2% l’anno prossimo (dall’1,6%) mentre per il 2025 sono state rivista all’1,9% dall’1,8%. Restano sostanzialmente stabili attorno al 4,5-4,6%, per l’intero triennio, le stime sulla disoccupazione. L’inflazione potrebbe risultare più alta del previsto quest’anno, ma comunque in calo al 3,3% (dal 3,1%) mentre è stata confermata, nelle previsioni, al 2,5% per il 2024 e al 2,1% per il 2025.
Sembra allora aprirsi una nuova fase che la Fed – Powell è stato molto chiaro sotto questo punti di vista – collega, e solo in parte, agli effetti macroeconomici delle tensioni creditizie e non ad altro. Il sistema bancario Usa è giudicato, già nel comunicato, «sano» e. in conferenza stampa, anche «resiliente», «forte», «ben capitalizzata». La Fed è inoltre pronta a usare tutti i suoi strumenti per risolvere eventuali problemi – soprattutto in termini di regolamentazioni e vigilanza – e, nello stesso tempo, è «impegnata a imparare la lezione di questi episodi».
I due obiettivi, la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria restano separate. Sono le possibili restrizioni creditizie, e la loro “somiglianza” con un rialzo dei tassi, che interessano la politica monetaria e i suoi sviluppi futuri. Il comunicato ha quindi aggiunto un nuovo passaggio, assente in passato: «Il comitato (di politica monetaria, ndr) osserverà da vicino le informazioni in arrivo e ne valuterà le implicazioni per la politica monetaria». È una Fed più colomba e meno falco? A rigore no: è più probabilmente la conferma della nuova fase in cui l’enfasi passerà alla durata della stretta, con una maggior attenzione però a considerazioni di risk management e un occhio ai mercati e alle loro reazioni.