Il nuovo lavoro dell’iraniano Majid Majidi è appena uscito nelle sale italiane e presenta il mondo dei bambini dimenticati.
Il cinema iraniano, ormai da alcuni lustri, calca con grande successo di critica e pubblico la scena internazionale. Non fa eccezione la nuova opera di Majid Majidi, in concorso alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e scelto per rappresentare l’Iran nella categoria per il miglior film internazionale ai premi Oscar 2021, da sempre e sempre più orientato nell’esplorazione intima quanto dolorosa del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza violata, abbandonata, maltrattata. In Figli del Sole lo fa attraverso la storia del giovane e intenso Ali e della sua piccola combriccola di amici, compagni di sventure e fratelli nell’ineguaglianza, che si trasformano in personaggi degni del più accorato romanzo di formazione. Orfani, nel più sfortunato dei casi, o con genitori in precarie condizioni fisiche e mentali, i giovani bambini sono figli dimenticati di un Iran lacerato. Costretti a vivere di piccoli espedienti, sfruttati e maltrattati, mantengono tuttavia un aspetto vitale, determinato, a tratti allegro, se non fosse per la incresciosa situazione che li avviluppa in una spirale apparentemente senza uscita.
Una trama pura per un film dal sapore neorealista
Il capovolgimento narrativo della trama, fin troppo semplificata, ma incommensurabilmente neorealista nella sua conduzione cinematografica, si mostra agli spettatori come metafora della redenzione: l’espediente viene fornito da un capo criminale locale che impone al ragazzo di recuperare un tesoro. Ben poco definito e definibile, nascosto, per fortuita coincidenza, il sedicente tesoro si cela nei profondi anfratti di una scuola per giovani ragazzi disagiati.
La conditio sine qua non per recuperarlo e tanto scontata quanto paradossale; Ali e i suoi giovani amici devono passare per la scuola, ma dalla porta principale. Devono iscriversi, frequentarla, studiarne i meandri per capire come accedere più rapidamente e efficacemente a questo ignoto tesoro. La coriacea ricerca del giovane ragazzo diventa dunque un’affannosa e instancabile caleidoscopia della ribellione e dell’affrancamento. La lotta dei giovani protagonisti, dalle piccole e ordinarie violenze quotidiane, si sul sostegno alla precaria scuola del sole, e sui tentativi di salvataggio e di protezione dei propri cari. Senza dimenticare la caccia al tesoro, fatta di piani strategici, veri e propri turni di lavoro, frustrazioni, promesse. In questa perenne ricerca il giovane Ali, dallo sguardo fiero e sofferente, non si arrende nemmeno di fronte alla scoperta, piuttosto prevedibile, del contenuto deludente del tesoro tanto ambito.
Rispetto agli innumerevoli film che, fin dagli anni Cinquanta, hanno puntato l’occhio della macchina da presa sulle difficili e sofferenti vite di giovani ragazzi (dai neorealisti italiani alla Nouvelle Vague, fino ai registi indiani, brasiliani, passando per il cinema dell’Europa centro-orientale), Figli del Sole si inserisce nella tradizione di pacata narrazione della violenza. Con placida lentezza, il film scorre puro, semplice, come un fiume di montagna. Il sovvertimento dei punti cardinali, fisici ed emozionali, resta sotteso nelle maglie filmiche: l’alto, il basso, la luce, l’ombra, il sopra, il sotto, il dentro, il fuori, fino alla scoperta del sole dai più profondi abissi dell’ombra sociale e culturale di una società corrotta.
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di Serena Pacchiani
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2021-09-05 08:30:00 ,