“Filippo Turetta vuole pagare per la sofferenza indicibile che ha provocato. Per lui non chiedo alcuna perizia psichiatrica, non ha disturbi: basta con le diagnosi selvagge in tv. In carcere sta scrivendo molto per ricostruire quello che è successo. La famiglia Cecchettin ha reagito con forza, dignità e umanità. Ma il perdono e il pentimento sono cose serie: oggi chiedere scusa non rispetterebbe la memoria di Giulia”.
Il professor Giovanni Caruso, avvocato del 22enne in carcere per il femminicidio di Giulia Cecchettin, ha fatto sapere che il suo assistito ha rinunciato all’udienza preliminare davanti al gup prevista il 15 e 18 luglio prossimi per andare direttamente a processo in Corte d’Assise. Il legale, noto per la sua riservatezza, finora non ha mai commentato il processo. Adesso risponde alle domande di Repubblica su una vicenda che ha scosso tutta Italia.
Perché la decisione di rinunciare all’udienza preliminare nei confronti di Turetta?
“La decisione è stata presa dopo plurimi incontri. Determinante nella scelta è stato il percorso di maturazione personale avviato da Filippo in relazione al gravissimo delitto commesso. Lui intende pagare quanto prima quella che sarà la pena ritenuta giusta. Perché la pena deve essere giusta, non sproporzionata né per eccesso né per difetto, né deve essere, come troppo spesso superficialmente si pensa, ‘esemplare’, perché nessun essere umano può essere strumentalizzato con la pena per dare esempi al prossimo. Sta tutto scritto nella Costituzione: la pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato”.
Cosa intende per percorso di maturazione?
“Turetta avrà modo di spiegare ai suoi giudici la vicenda. Durante questo percorso lo abbiamo visto. Sta scrivendo molto in merito a quello che è successo. Deve rielaborare, scrivere, e questo lo aiuta molto a comprendere; è sempre più consapevole, dopo un primo periodo di disorientamento, della sofferenza indicibile che ha provocato con il suo crimine. Per questo, nell’interesse di tutti, vuole che la giustizia faccia il suo corso il più rapidamente possibile. Nel rispetto, certo, dei suoi diritti, ma anche nella considerazione delle aspettative di giustizia delle vittime. Tra le quali, dal punto di vista sociologico e affettivo, meritano di essere ricordati anche i suoi familiari, i suoi genitori, il fratello più piccolo”.
Cosa scrive Turetta in carcere?
“Sta scrivendo per rielaborare, per tenersi occupato, per recuperare alla memoria quello che si è verificato. E dovrà prepararsi: davanti al suo giudice naturale sarà doveroso che spieghi cosa si è verificato, cercando di rispettare le esigenze di verità e giustizia non solo della Corte d’Assise, ma di tutti: delle vittime, in primo luogo, della Comunità a cui sarà prima o poi destinato a riappartenere, della Comunità a cui ad oggi appartiene all’interno del carcere, dei suoi genitori. Con il delitto commesso si è assunto una responsabilità enorme, per certi versi insopportabile e insuperabile. Lo sta comprendendo e accettando”.
Non chiederà per lui una perizia psichiatrica?
“Non ne abbiamo intenzione. È noto che, secondo il nostro codice penale, il comportamento provocato da una tempesta emotiva, come la rabbia, l’ira, la collera, per quanto ingiustificate, costituiscono i cosiddetti stati emotivi e passionali che, non escludono né diminuiscono l’imputabilità. Non voglio essere frainteso su questo punto: che la vicenda si inserisca nell’ambito di una abnormità emotiva mi sembra del tutto evidente. Questo di per sé non significa ci sia stata o meno premeditazione. E, dice la giurisprudenza, solo nei casi più gravi, laddove gli stati emotivi e passionali possano essere il segno di un grave disturbo di personalità, potrebbe ipotizzarsi una incidenza sulla imputabilità. Non ho motivo, né Filippo Turetta mi ha autorizzato a interessarmi in tal senso, di ritenere che egli soffra di un disturbo di personalità come ad esempio il disturbo narcisistico, troppo spesso oggetto di selvagge diagnosi in assenza del paziente alle quali abbiamo assistito nel corso dei processi in tv degli ultimi mesi. Credo che questa vicenda debba una volta in più far riflettere sulle distorsioni del processo mediatico, dove si celebra un rito parallelo a quello istituzionale e ognuno può esercitarsi nelle proprie prognosi e diagnosi, il più delle volte, né altrimenti potrebbe essere, senza alcuna cognizione di causa. L’interesse pubblico è indiscutibile, ma talvolta la morbosità prevale sull’autentico interesse conoscitivo, alimentandosi solo speculazioni, pettegolezzi beceri e pertinaci. Resta ovviamente impregiudicata ogni valutazione autonoma dell’Autorità giudiziaria sulla necessità o meno di disporre una perizia”.
Turetta, interrogato dopo l’arresto dai magistrati, disse di non sapere cosa gli fosse scattato in testa. Cerca di allontanare l’aggravante della premeditazione?
“Questa è una questione molto delicata. Non posso e non voglio esprimermi in proposito, il tema essendo destinato al giudizio e alla decisione della Corte d’Assise. Per esperienza e cultura professionale, posso però dirle che nei delitti caratterizzati da maggior impatto emotivo non è sempre facile nemmeno per chi li commette comprendere e ricostruire a posteriori esattamente ogni singolo istante ideativo e volitivo di ciò che poi viene commesso. Ho chiesto a Filippo Turetta di continuare a riflettere, di cercare di recuperare la memoria. Tenga conto che uno stato di rabbia può durare un istante, qualche ora o anche due-tre giorni, ma cambia moltissimo dal punto di vista giuridico. E non sono in grado di sbilanciarmi, lo verificheremo”.
Su questo punto, anche durante l’interrogatorio ha cercato di spiegare alcuni particolari in maniera che non sembra convincente.
“Si è detto che ci sono state reticenze, si è parlato di ‘minimo sindacale’ sulla versione fornita durante l’interrogatorio. Ritengo che l’interrogatorio sia stato sostanzialmente veridico. In ogni caso non si può non considerare che nel momento in cui è stato reso il ragazzo poteva tendere a rendere dichiarazioni svalutative del proprio carico di responsabilità per ragioni emotive, non sapendo se i genitori lo volessero ancora vedere, se i compagni di carcere o di cella lo avrebbero accettato, se l’avvocato lo avrebbe difeso. È possibile abbia avuto qualche esitazione nel ricordare bene tutto. Ma di quello che si è verificato sarà oggetto di attenta lettura davanti al suo giudice naturale e lui cercherà di spiegarlo in quella sede. Poi sarà la Corte d’Assise a valutare la configurabilità o meno delle aggravanti, se il ragazzo sarà ed eventualmente in quale grado meritevole di una comprensione equitativa in relazione a quanto commesso in vista dell’irrogazione della pena di giustizia. Il mio compito difensivo consiste nell’operare affinché ciò si verifichi”.
Turetta ha scritto anche alla famiglia Cecchettin?
“Non è il momento. Per quanto possa valere il mio giudizio, la famiglia Cecchettin ha reagito con forza, dignità e umanità alla tragedia provocata da Filippo. Come ho già anticipato nel corso dell’interrogatorio, mi sono assunto la responsabilità fin dal primo momento di non far pronunciare a Filippo alcuna considerazione in proposito. Il perdono, ammesso che sia umanamente possibile per fatti così gravi e irreversibili, il pentimento, il rimorso, la giustizia riparativa, che pur da più parti viene oggi invocata come un modo alternativo di celebrare la giustizia diverso da quello della giustizia vendicativa, son tutte cose molto serie, che richiedono tempo, elaborazione, rispetto. Non credo che chiedere scusa oggi sarebbe un modo per rispettare la memoria di Giulia, né il dolore dei suoi familiari. Non si può chiedere scusa per aver ucciso Giulia, oggi, come se si chiedesse scusa per aver commesso un goliardico atto vandalico. Non è come ‘rigare una macchina’, ecco. Vi sarebbe una sproporzione tale per cui, temo, che anche chiedere scusa, oggi, suonerebbe quasi come una mancanza di rispetto”.
Lei ha detto che in questi mesi il suo assistito ha fatto un percorso. A cosa lo ha portato?
“Ho fatto una fatica enorme a trovare persone disposte ad aiutarlo. Anche sul piano tecnico. Dai medici legali a coloro che avrebbero potuto dirmi se fosse pronto o meno a intraprendere un percorso di giustizia riparativa. Strumento che, come già detto, sempre di più si sta introducendo. Posso però dire che dopo un periodo di disorientamento in cui era rallentato anche nell’eloquio, ha intrapreso un percorso di sempre maggiore consapevolezza di quanto ha commesso e di cosa lo aspetta”.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2024-07-08 15:13:17 ,www.repubblica.it