Questi animali stilizzati nel disegno sono totalmente realistici nei movimenti, entrano ed escono dalla trama e dalle scene come se fossero a teatro, con un po’ di enfasi e ognuno a modo proprio. Hanno ognuno delle aspirazioni e in un finale molto avventuroso (e di nuovo eccessivamente videoludico per le implicazioni fantastiche) anche un ruolo preciso. Il segreto di questo film, che a tratti commuove per la stessa ragione per la quale commuovono i film con animali dal vero ben fatti (per l’incredibile tenerezza che sappiamo attribuire alle peripezie di animali indifesi), è proprio quel senso eccezionale di indeterminatezza che hanno i videogiochi indipendenti, specialmente quelli giapponesi, in cui eventi non clamorosi si pongono tra il magico e fantastico, tra lo spirituale e lo scientifico, senza troppa necessità di dichiarare la propria natura fino in fondo.
Non c’è nessun bisogno di capire cosa sia successo prima, perché il mondo stia così e cosa accada di consueto in quelle terre. Come non c’è bisogno di conoscere la storia dei luoghi attraversati nei giochi di Fumito Ueda come Ico, Shadow Of The Colossus o The Last Guardian. Conta l’avventura e l’esperienza che il giocatore (o in questo caso lo spettatore) può fare in quei posti. Perché se i personaggi sono poveri di dettagli e il disegno è molto stilizzato, gli sfondi non lo sono per niente, anzi! Sono molto ricchi di dettagli. Ambienti perfetti in cui muoversi e con i quali far interagire. Ambienti che con le loro architetture, danno moltissime informazioni che i personaggi non capiscono ma noi invece sì. Noi capiamo cosa significano le cose che avvengono nello sfondo, capiamo il valore di certi posti e riconosciamo la loro provenienza. Questo saperne più dei protagonisti è un’arma micidiale nelle mani di Flow.
Di nuovo è molto una questione di tecnica, innanzitutto perché questo film può procedere per piani sequenza, vale a dire lunghe scene senza montaggio. Autori, tecnici e animatori, potevano impostare una situazione e muovercisi dentro mentre questa avviene, assumendo di volta in volta il punto di vista migliore, come farebbe un operatore con la videocamera su un set. Che non è quello che si percepisce di consueto nei film animati (ma spesso nei videogiochi, si pensi a God of War). Inoltre, Flow è, proprio come i videogiochi, concentratissimo sui movimenti e capace di usare quelli per comunicare quel che vuole dire sui personaggi. Dalla Pixar in poi l’animazione è stata schiacciata sulla scrittura, la parte visiva non ha più avuto né la follia dell’era Looney Tunes, né il design di quella Disney. Abbiamo avuto storie fantastiche con un’animazione dal design sempre molto simile e pupazzoso. Invece Flow è un altro mondo, spiazza e colpisce fortissimo.
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di Gabriele Niola www.wired.it 2024-10-24 15:18:00 ,