“Quella per bambini è la letteratura più politica che esista” secondo Francesca Cavallo che al Wired Next Fest Trentino spiega di aver scritto Maschi del futuro perché finora nelle fiabe gli uomini sono stati sempre rappresentati come “privi di vita interiore, a parte alcune eccezioni come la bestia della Bella e la Bestia e Quasimodo. Mi sono resa conto che io stessa tendevo a considerarli meno empatici e più aggressivi e ho concesso loro beneficio del dubbio, lavorando su questi stereotipi”.
In uscita il 3 ottobre, questo volume è una raccolta di 12 fiabe inventate da zero in mondi ideati “per rispondere alla richiesta di molti genitori in cerca di libri che li aiutassero a crescere i propri figli con modelli diversi, senza che si sentissero su un piedistallo dimessamente perché nati maschi”. Non si tratta di personaggi utopistici, però, perché Cavallo cita anche alcuni “maschi del futuro già reali”. Per esempio il vice di Kamala Harris, Tim Walz, “perché è il classico papà americano, ma la sua maschilità non gli impedisce di mostrarsi un grande alleato della comunità lgbtqia+ e completamente a proprio agio con la sua intimità. Non si vergogna della grande dolcezza con cui si relaziona con la sua famiglia”. Secondo Cavallo, uomini come Walz dimostrano che “per essere maschi del futuro non serve sposare una nuova estetica ma basta essere più intensamente sé stessi”.
Un altro esempio a suo avviso è il padre di Giulia Cecchettin, Gino, “perché si è sottratto al tipico approccio patriarcale abbracciando il suo dolore in pubblico e rendendolo così uno strumento collettivo di crescita. Lui e la sorella di Giulia hanno fatto un enorme regalo al nostro Paese”.
Nel suo intervento dal palco, Francesca Cavallo viene invitata ad esprimere un parere anche sulla “cancel culture” e non si tira indietro. Ammette che “ha portato a iniziative importanti che hanno per esempio permesso di porre un freno allo sfruttamento delle attrici e hanno messo in luce temi di cui nessuno parlava, ma credo che in alcuni casi la volontà di censura sia andata oltre alle originarie intenzioni”. Racconta infatti che, soprattutto sui social, l’ha vista infatti “trasformarsi in una strategia poliziesca contro l’uso di alcune parole, anche senza ci fosse uno spirito oppositivo – afferma -. Chi era più esposto ha usato la cancel culture come martello per beccare chi non era ancora altrettanto consapevole. È diventato uno strumento di dominio e questo mi ha messo a tratti a disagio”
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di Marta Abbà www.wired.it 2024-09-28 16:20:24 ,