I tempi per la parità di genere si allungano di un’altra generazione a causa del Covid. Le conseguenze economiche della pandemia hanno ampliato le disparità fra i sessi, soprattutto in ambito economico. La “she-cession” non è più un’ipotesi, ma una certezza e lo certifica, dopo il Fondo Monetario Internazionale, anche il Global Gender Gap report del World Economic Forum. La prima evidenza è il divario che separa le donne dagli uomini nel lavoro: per chiudere il gap saranno necessari 267,6 anni, se continueremo di questo passo. Più ”veloce” l’evoluzione complessiva, tenendo conto dei 4 ambiti di analisi del report (politica, economia, educazione e salute), che vedrà la parità raggiunta entro 135,6 anni, rispetto ai 99,5 anni ipotizzati solo dal rapporto precedente.
A guidare la classifica ancora una volta il Nord Europa con Islanda, Finlandia e Norvegia. Tre Paesi guidati da premier donne: Katrín Jakobsdóttir (classe 1976) è la premier dell’Islanda in carica dal 30 novembre 2017; Sanna Mirella Marin (1985) è la prima ministra della Repubblica Finlandese e dal 10 dicembre 2019 è vicepresidente del partito Socialdemocratico Finlandese; Erna Solberg (1961) è leader del partito conservatore norvegese e prima ministra della Norvegia dal 16 ottobre 2013. Al quarto posto il primo Paese extra Europa, la Nuova Zelanda guidata dalla premier Jacinda Kate Laurell Ardern (1980), anche numero uno del partito Laburista. Mentre al quindto posto si torna al Nord Europa con la Svezia del primo ministro Stefan Lofven.
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Il balzo italiano
Dopo un anno di pandemia, in un panorama tutt’altro che roseo, nella classifica stilata dal World Economic Forum emerge il balzo registrato dall’Italia, che ha guadagnato 13 posizioni salendo dal 76esimo al 63esimo posto su un panel di 156 Paesi al mondo. La spinta maggiore al miglioramento è venuta dalla politica, dove risultiamo il 41esimo Paese nella classifica, arrivando addirittura al 33esimo posto se si tiene conto delle donne nell’esecutivo. D’altra parte il governo Conte II, che è quello tenuto in considerazione dalla rilevazione, aveva raggiunto un record storico con una percentuale del 34% fra ministre, viceministre e sottosegretarie.
L’altra faccia della medaglia, però, è la partecipazione economica, che ci vede scivolare al 114esimo posto, fra le maglie nere a livello europeo. Nel rapporto viene evidenziato come, nonostante l’Europa occidentale abbia raggiunto una percentuale del 70% della chiusura del gap nel sotto indice economico, «ci sono 24 punti percentuali fra l’Islanda con l’84,6% (la prima nella classifica globale, ndr) e l’Italia con il 61,9%, il livello più basso della regione». Peraltro, come sottolinea il Wef, i dati che compongono l’indice di quest’anno non fotografano ancora appieno gli effetti della pandemia sull’economia. «Il report conferma che l’allarme sul “rischio diseguaglianze” della crisi Covid è fondatissimo. Le donne perdono il lavoro più degli uomini, e quindi arretrano nel reddito e nel benessere. Tutti i Paesi, e l’Italia per prima, devono tenere conto di questo dato nelle misure di sostegno e negli interventi per la ripresa», osserva Mara Carfagna, ministra per il Sud e della coesione territoriale, al Sole 24 Ore.
Lo svantaggio nel lavoro
D’altra parte i problemi del lavoro femminile sono noti e sono stati più volte sottolineati anche dal premier Mario Draghi: basso tasso di occupazione (in Italia lavora meno di una donna su due), alta percentuale di contratti part time (49,8%), elevata differenza salariale (stimata nel 5,6% dal Wef, ma per altre rilevazioni Eurostat al 12%), mancata possibilità di carriera (solo il 28% dei manager sono donna, peggio di noi in Europa solo Cipro) e accesso a formazione Stem (16% delle donne contro il 34% degli uomini).