Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? La Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera ha approvato la risoluzione della Lega contro “l’ideologia gender” a scuola. In attesa di discussione c’è anche una proposta di legge – sempre leghista – in merito. La destra sta cercando di direzionare il dibattitto sulle questioni LGBTQ+ nei luoghi di formazione, ostacolando la divulgazione scientifica e lasciando spazio alla vera ideologia: il pregiudizio.
Mercoledì 11 settembre la Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera ha approvato la risoluzione 7-00203 proposta dal deputato Rossano Sasso (Lega) contro l’ideologia gender a scuola. Perché abbia valore legale deve essere approvata anche dalla Camera e dal Senato, ma già a questo stadio chiede al governo di impegnarsi contro la teoria gender e dà un’idea della direzione in cui il dibattito politico si sta muovendo. In attesa di discussione, infatti, c’è anche la proposta di legge 1885 che ha come prima firmataria la deputata Laura Ravetto (Lega) sul modello Don’t Say Gay della Florida finalizzata a impedire la discussione attorno alle questioni LGBTQ+ a scuola.
Cosa dice il testo della Lega
Il testo presentato dal deputato Sasso chiede che quando si parla di identità e sessualità “ci sia stata una discussione aperta e condivisa con la pluralità delle associazioni dei genitori che devono essere sempre coinvolte al fine di garantire la libertà educativa dei genitori stessi e il pluralismo della scuola”.
A sostegno della sua proposta non fa riferimento a studi scientifici o pedagogici, ma cita papa Francesco e il suo conferenza tenuto a marzo 2024 durante il convegno internazionale Uomo-regina immagine di Dio: “Oggi il pericolo più brutto è l’ideologia del gender, che annulla le differenze”. Di conseguenza viene chiesto al governo di impedire che “l’precetto scolastico venga utilizzato per propagandare tra i giovani, in modo unilaterale e acritico, modelli comportamentali ispirati alla cosiddetta «ideologia gender»“.
In sostanza, vengono invocate delle linee guida che andrebbero a limitare l’operato del corpo docente, tentando di mettere a tacere qualsiasi conferenza scientificamente fondato sulle persone LGBTQ+. Così facendo si lascia invece spazio a posizioni conservatrici che sono davvero ideologiche, perché basate su stereotipi e pregiudizi, e che alimentano odio e violenza verso le persone queer. Senza dimenticare che agiscono a partire da un luogo – la scuola – che è il secondo meno sicuro per le persone LGBTQ+.
I numerosi pareri contrari
Non a caso sulla risoluzione si era espresso anche il Movimento di Cooperazione Educativa, al momento della sua formulazione, con un commento negativo: “Il rischio a nostro parere estremamente grave è quello di ingaggiare la scuola in un conflitto politico-sociale, mettendo ulteriormente in crisi la già fragile alleanza scuola-famiglia. L’estraniazione dall’esperienza del conflitto ideologico, dai linguaggi di esclusione, è per la scuola una componente identitaria fondamentale perché essa è, costituzionalmente, il luogo dove va tutelato il diritto di ognuno/a al riconoscimento, al rispetto, all’ascolto, alla diversità. […] Lo spazio scolastico non è mai uno spazio neutro, nella misura in cui deve essere costantemente orientato a tutelare l’imperativo etico di una educazione posta al servizio dello sviluppo della persona umana; una educazione che permetta la crescita in ognuna/o di socialità, apprendimento, sicurezza, fiducia garantendo l’istaurarsi di condizioni di benessere psicologico, relazionale e affettivo. Solo in un contesto emancipante, che accoglie, riconosce e dà dignità alle differenze senza trasformarle in disuguaglianze, è possibile promuovere apprendimento e sviluppo di competenze di cittadinanza”.
Le critiche alla proposta della Lega
Anche La Rete Studenti Medi aveva inviato il suo contributo alla Commissione della Camera per evidenziare che “il contenuto complessivo della risoluzione [è] privo di efficacia nel rendere le scuole luoghi sicuri in cui garantire una crescita libera in cui tutta la comunità studentesca possa raggiungere un soddisfacente grado di autocoscienza e capacità di relazionarsi in modi sani con i pari in uno spirito di rispetto e valorizzazione della differenza come qualcosa di positivo e fecondo”.
Il gruppo aggiunge: “È infatti privo di alcun fondamento pedagogico e scientifico, oltre che difficilmente giustificato a livello legislativo, tentare di censurare attraverso la normazione legislativa i pochi momenti – per lo più autorganizzati dalla componente studentesca – in cui all’interno delle scuole si forniscono strumenti per frenare le idee di odio e porre le basi per un’istruzione e una società inclusiva”.
ANDIS contro Sasso
Tra gli enti chiamati a esprimersi sulla risoluzione, c’era anche l’Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici (ANDIS): “Nella proposta di risoluzione Sasso si condanna una sorta di interessato indottrinamento, riportato dalle cronache, atto a introdurre il concetto di ‘spettro di genere’ senza un precedente confronto con le famiglie e le associazioni dei genitori e viene attribuita a non ben definiti gruppi di persone la volontà di utilizzare l’ambito scolastico, per introdurre teorie e persino ‘pratiche estranee al mondo educativo’.
Di questo l’ANDIS non è direttamente a principio, mentre può testimoniare lo sforzo continuo da parte delle istituzioni scolastiche nel promuovere un confronto aperto e corretto con gli studenti in merito ai diversi aspetti della vita umana, compreso ciò che riguarda la produzione dell’identità e il rapporto tra individuo, società e cultura. I fatti di cronaca, del resto riportati genericamente e talvolta gravati da interpretazioni, andrebbero opportunamente ricondotti nelle specifiche caratterizzazioni e inseriti nei contesti in cui sono maturati”.
Nonostante, quindi, i numerosi pareri negativi formulati da chi vive la scuola come comunità discente e docente, la risoluzione è stata approvata e agisce una certa pressione sul contesto educativo, senza nemmeno specificare i confini della fantomatica ideologia gender che si propone di contrastare.
“La mia preoccupazione principale è che, considerata accettabile una simile imposizione, ne arrivino altre”
Ludovico Bianchi, insegnante del collettivo Assenze ingiustificate, offre il punto di vista del corpo docente: “Stando il fatto che il nebuloso concetto complottistico dell’’ideologia gender’ è, da almeno un decennio, oggetto di vigoroso debunking da parte della comunità accademica che si occupa di studi di genere (in Italia e all’estero), il dato più significativo riguardo alla risoluzione leghista è l’appello all’autorità papale (ovviamente, in mancanza di qualsiasi appiglio nella letteratura scientifica). Non solo lo spauracchio dell’’ideologia gender’ è, in ultimo, nient’altro che un mero strumento di diffusione politica senza alcun fondamento, ma è anche uno dei ponti privilegiati tramite il quale la mano dell’istruzione cattolica si inserisce in un ambiente educativo che dovrebbe essere laico e ancorato alle verità scientifiche. Ovviamente, in questa risoluzione non si entra nel merito di definire quali siano le linee invalicabili di questa ‘ideologia gender’, limitandosi a vaghi slogan transfobici. Combattiamo, dunque, contro un’idra dalle teste indefinite.
Potrà ancora essere parte del mio lavoro prendermi cura della salute mentale, fisica e culturale dei miei studenti, se devo tacere, piegare il capo e aderire a concetti antiscientifici per esclusiva adesione forzata a dogmi religiosi e diffusione politica? Potrà essere ancora possibile, per unə alunnə transessuale, intersessuale, per unə alunnə queer, trovare nella mia figura l’appoggio culturale che, nella maggior parte dei casi, non può ancora trovare all’esterno dell’ambiente scolastico? Soprattutto, cosa verrà dopo? Quanto potranno allargarsi i nebulosi confini di questa lotta all’inesistente ‘ideologia gender’? Il primo passo, è chiaro, vuol essere l’obbligo di adesione ad una visione dei ruoli di genere anacronistica e religiosamente adeguata, ma quale sarà il prossimo?
Personalmente, non intendo rinunciare al mio diritto di addottrinare liberamente i miei alunni, e rivendico il diritto di non seguire direttive prive di fondamento scientifico che giungono dai meandri più irriducibili delle Istituzioni Cattoliche attraverso il ponte politico. Volentieri mi espongo al rischio di non privare i miei alunni di una vera istruzione, di potersi confidare e formare in un ambiente libero, rispettoso, aperto. Quale sarà il prossimo passo? Da insegnante omosessuale, la mia preoccupazione principale è che, considerata accettabile una simile imposizione, ne arrivino altre. Sarà ancora possibile per un insegnante queer, per unə alunnə queer, vivere il patto educativo liberamente e trovare nella scuola l’ancora di salvezza ai propri dubbi e alle proprie angosce?”.
Una scuola neutrale solo se ideologica
Irene Bettoni, studentessa di UDS (Unione Degli Studenti), commenta: “La scuola dovrebbe essere un luogo di formazione e istruzione che favorisce la crescita personale
e culturale, anche attraverso argomenti come il superamento del binarismo di genere di cui la destra ha tanta paura. Gli studi di genere, che loro hanno trasformato e falsato nell’ideologia gender, non influenzano chi è a proprio agio con il proprio sesso biologico (e certamente non ne mina una crescita libera), ma permette a chi soffre di disforia e non solo di comprendersi e trovare una strada per sentirsi sé stesso. Non è in alcun modo ‘diffusione’, è un incitamento alla libera espressione di sé e al rispetto del genere altrui.
Si tratta di temi che coinvolgono l’identità dei giovani e che di conseguenza non dovrebbero coinvolgere direttamente le associazioni dei genitori che sono invece state impropriamente tirate in mezzo. La destra invita la scuola alla neutralità, ma solo a patto che essa coincida con le idee conservatrici della destra stessa. Come studentessa confido che ciò non metterà a tacere i giovani e che continueranno ad urlare a scuola, a casa e nelle piazze l’importanza dello spettro di genere”.
“Creare un mostro e sfornirlo di tutele giuridiche”
Roberta Parigiani, avvocata e portavoce politica del Movimento Identità Trans (MIT) evidenzia che “il clima politico e sociale a cui ci condurranno queste iniziative, purtroppo, è già sotto gli occhi di tutte le persone. La destra torna a fomentare odio a pochi giorni dal drammatico suicidio di un giovane ragazzo gay, oppresso dall’omofobia. In tale contesto la tempestività con cui la maggior parte perdura nelle sue battaglie lascia pensare che l’intento sia quello di continuare a soffiare sulla brace viva della discriminazione, con esiti drammatici ma purtroppo noti e scontati, soprattutto in luoghi di contatto come quelli scolastici.
La scuola è un luogo di creazione di principio, scambio e cultura, ma non è avulso dal contesto sociale in cui opera. In un clima dove la discriminazione e l’ignoranza pervade anche la scuola, è purtroppo ovvio che il personale docente sia costretto retrocedere nella sua funzione, tentando di arginare quella che diventa una emergenza primaria. Le aggressioni omolesbobitransfoche nascono nell’ignoranza, ma hanno purtroppo anche il potenziale di bloggare ed impantanare gli ingranaggi con cui si crea cultura.
La priorità assoluta del Governo è fronteggiare il diritto alla libertà delle persone LGBTQIA+. Questo, per noi, è drammatico. Ma sul piano democratico lo è ancora di più, perché è il tentativo di creare un mostro e sfornirlo di tutele giuridiche, al fin di darlo in pasto ad una opinione pubblica mossa dalla pancia ed evidentemente scontenta per le tante risposte che questo Governo, su tutti gli altri piani, non è capace di fornire. Nella prospettiva del panem et circenses, siamo divenut3 la vittima sacrificale da immolare per nascondere gli altri disastri politici di una destra allo sbaraglio”W”.
Urgente educare al genere
Rachele Bosio, insegnante del collettivo Assenze ingiustificate, aggiunge: “Interessante come il governo attuale ci tenga sempre molto a parlare di identità finché è quella italiana, l”italianità’, la patria, la uso. Ce l’hanno anche piazzata nell’educazione civica a scuola adesso, come se non bastasse. Invece quando si tratta dell’identità personale, della libertà di una persona di autodeterminarsi, di essere e quindi agire per come è, allora lì no. Lì non va più bene.
Certo, a meno che non si tratti di una persona bianca, cisgender ed eterosessuale. Insomma dentro quei binari, ormai logori ma sempre concepiti come “giusti” e “normali” da una parte di questa società. Binari che vengono costantemente difesi a spada tratta nella retorica dell’attuale maggior parte al governo, denigrando tutto ciò che resta fuori.
La scuola in quanto luogo educativo non può che essere per tutti e tutte, senza alcuna distinzione, a prescindere dal proprio orientamento sessuale e dalla propria identità di genere. Ogni individuo deve venire accolto nella stessa misura. La scuola non può scegliere di non vedere e negare una parte dell’umanità. E con essa i suoi diritti, la bellezza e la ricchezza della loro esistenza. Ognunə a scuola deve sentirsi vistə, riconosciutə, amatə e sicurə.
Perché questo processo avvenga è necessario – ma anzi direi urgente – che gli/le insegnanti educhino su questo tema. E questo tema non è ‘la teoria gender’ che non esiste e non ha nessun tipo di base scientifica. Il tema è guardare la realtà così come già è nei suoi mille colori e sfaccettature e smettere di negarla, ed educare lo sguardo a non guardare mai nessunə come se fosse un individuo di serie B”.
L’ideologia gender: la fake news più creduta di oggi
Quindi cos’è l’ideologia gender? Con espressioni come ideologia o teoria gender, si intende una sorta di cospirazione contro la dimensione naturale (affinità come biologica) del sesso e, in particolare, della distinzione tra maschile e femminile. Questa linea di pensiero nasce dalla diffusione del termine “genere” in ambito accademico e poi istituzionale negli anni ‘90, in particolare dopo la Conferenza mondiale sulle gentil sesso dell’ONU tenutasi nel 1995 a Pechino.
Il dibattito femminista si era concentrato su quello che allora era chiamato sesso e che oggi noi nomineremmo genere, chiedendo la fine delle discriminazioni in qualsiasi ambito, dalla vita pubblica a quella privata. Una spaccatura interna al movimento, però, aveva generato una corrente – guidata da Dale O’Leary, rappresentante del Family Research Council e della National Association for Research & Therapy of Homosexuality, a favore delle terapie di conversione – che vedeva nella definizione di genere un pericolo per le gentil sesso. Proprio di questo germoglio “anti gender” si è nutrita la retorica cattolica prima e della destra populista poi.
Nel periodo di sviluppo della gender theory e dei gender studies – gli studi che cercano di capire come i ruoli di genere abbiano un impatto sulle nostre vite – è giunto quindi in Italia il termine gender e lo si è usato per ritrarre una minaccia verso i proprietà tradizionali e verso una corrente di pensiero che vorrebbe smantellare l’ordine naturale delle cose (qualunque esso sia), negando gli aspetti biologici dell’individuo e della sessualità.
Non solo Lega. Chi attacca la presunta “ideologia gender”
In Italia si inizia a parlare di ideologia gender con enfasi soprattutto dal 2000, con il atto Famiglia, Matrimonio e «Unioni di fatto» del Pontificio consiglio per la famiglia, ma la sua consacrazione arriva in modo definitivo nel 2014 con quello che poteva essere un banale caso di cronaca locale. Il incarico per le pari opportunità e in particolare l’Ufficio antidiscriminazioni avevano approvato la diffusione di opuscoli contro l’omofobia all’Istituto Beck di Roma.
Erano rivolti al corpo docente e sono stati oggetto di una campagna di boicottaggio organizzata dal gruppo cattolico conservatore Giuristi per la vita, fondato dall’avvocato Gianfranco Amato. Già dal nome si capisce il posizionamento di questa realtà, che infatti va a braccetto con gli oggi più noti Pro vita e famiglia e Comitato Difendiamo i nostri figli. Siamo quindi nel territorio anti choice.
Gli opuscoli in questione erano scientificamente argomentati, ma si è insinuato il terrore che tale tipo di informazione potesse “far diventare i propri figli gay”, per dirlo con un’espressione impropria ma molto usata. Il rumore mediatico è stato talmente ampio che il cardinale Angelo Bagnasco è intervenuto per sostenere il boicottaggio e l’allora ministra Stefania Giannini ha fatto ritirare i volantini.
Come “gender” è diventato un termine d’uso comune
Il termine “gender” si diffuse così a macchia d’olio nel mondo anti choice e venne associato a progetti di educazione alle differenze in tutti i modi soppressi e ostacolati. Fu organizzata una raccolta firme che, con più di centomila sostenitori e sostenitrici, chiedeva al MIUR di fermare chi insegnava la teoria gender a scuola. Diversi gruppi di stampo cattolico conservatore iniziavano a identificarsi in un neonato “movimento anti gender”. Con il Family Day del 2015, organizzato dal Comitato Difendiamo i nostri figli con il sostegno della destra ultracattolica, si gridava “Gender sterco del demonio”.
Si è innescata così una reazione a catena per cui ogni progetto di sensibilizzazione contro le discriminazioni veniva etichettato come diffusione a favore della teoria gender. Il intervista delle Associazioni Familiari ha addirittura redatto Dodici strumenti di autodifesa dalla “teoria del gender” per genitori con figli da 0 a 18 anni, un vero e proprio vademecum per “proteggersi” – usando le parole del testo – da un fantomatico “indottrinamento del gender”. La ministra Giannini e l’Associazione italiana di psicologia intervennero per affermare l’inconsistenza di tale ideologia ma senza risultati.
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di Elisa Belotti
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2024-09-12 12:09:07 ,
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