Gérard Lebovici è un nome che in poche persone conoscono, perché si tratta dell’eminenza grigia più misteriosa del cinema francese.
Proprio in quanto éminence grise, Lebovici è stato un uomo molto influente ma poco visibile, ha tramato per tutta la vita all’ombra del potere.
Anche all’apice della sua attività di produttore cinematografico ed editore, di lui si parlava poco.
Riservato ai limiti dell’esasperazione, Lebovici non amava apparire in pubblico, non voleva che il suo nome figurasse sui titoli di coda, non rilasciava interviste e odiava essere fotografato (esistono solo tre fotografie che lo ritraggono).
Una figura misteriosa, dall’anima tormentata, che si è invaghita di alcune personalità controverse e forse, per questo, ha pagato il prezzo con la stessa vita.
L’uomo invisibile del cinema francese
Lebovici è stato un imprenditore di straordinario talento e di vivace intuizione, abile nel costruire una fortunatissima realtà partendo dal nulla.
La passione per la recitazione lo spinge, da giovane, a tentare di diplomarsi come attore. Ma i due compagni di palcoscenico, Jean-Pierre Cassel e Claude Berri, intuiscono la mancanza di talento di Gérard nella recitazione e diventano gli artefici della svolta. Il futuro regista Berri, infatti, suggerisce all’amico di diventare agente, mentre Cassel si offre come primo cliente.
Così, con un solo committente e una stanza per lavorare, Lebovici avvia la sua prima agenzia.
Con i primi guadagni acquista le quote di altre due agenzie e, aggiungendo alla sua scuderia attori di punta come Jean Paul Belmondo, fonda Artmedia. Un’agenzia cinematografica che ha prodotto le pellicole di grandi registi francesi come François Truffaut ed Éric Rohmer, oltre ai film più commerciali.
In poco tempo il nome di Gérard Lebovici si afferma nel mondo del cinema, grazie al carisma e all’abilità persuasive nei confronti dei più refrattari. Come dimostra la carriera interrotta di Alain Resnais che viene rilanciata grazie all’intervento di Lebovici, suo grande estimatore, con il film Stavisky il grande truffatore, interpretato da Belmondo.
Più tardi, insieme a un gruppo di amici, fonda una casa editrice sui generis, con lo scopo di “far ascoltare tutte le voci”. Si chiama Champ Libre (Campo Libero) e si distingue per l’audacia editoriale, oltre che per l’approccio socioculturale e politico di una sinistra che mira a revisionare i luoghi comuni.
Lebovici si consacra quindi come editore corsaro, propalatore di correnti ideologiche anarchiche e libertarie. Tra le pubblicazioni ci sono classici dell’anarchismo, avanguardie artistiche, opere di controcultura americana, fantascienza e marxismo (Bakunin, Orwell, Ballard).
Anima tormentata e scissa
Il ricco imprenditore coesiste in una sorta di dualità con il sovversivo editore ostile al potere. Una contraddizione che raggiunge il culmine con l’arrivo di una figura fondamentale per il destino di Lebovici e di Champ Libre: Guy Debord, il filosofo colto e rivoluzionario.
Quest’ultimo entra in casa editrice dopo la ripubblicazione del libro che lo ha reso famoso, La società dello spettacolo, una denuncia al potere esercitato dai mezzi di comunicazione di massa. Secondo Debord la società capitalista del consumo impone una stile di vita illusorio attraverso le industrie socioculturali, come il cinema e la televisione.
Lo spettacolo è dunque un’ideologia economica che promuove una visione unica della vita allontanando le persone dalla vita vera: il manifesto dell’alienazione.
Debord è un un messia per Lebovici e i due instaurano un rapporto amicale molto intimo, rinforzato anche dalla comune propensione all’alcool. L’indole di Debord fa leva sul carattere ribelle, faticosamente tenuto a bada, di Lebovici.
Lo spirito imprenditoriale di Lebovici non viene scalfito dal fuoco rivoluzionario e il cinema rimane la fonte primaria di guadagno. Artmedia diventa un ecosistema completo, accogliendo attori, registi, sceneggiatori e scrittori: in questi uffici prende vita il cinema francese degli anni ’70 e ’80.
L’invidia nei suoi confronti cresce parallelamente alla diffidenza riguardo al rapporto, sempre più ossessivo, che lo lega al filosofo situazionista.
Il tragico epilogo
Debord non è l’unico fuoco di paglia di Lebovici. Anni più tardi, infatti, la sua passione per i “maledetti” si spinge fino a Jacques Mesrine, il nemico pubblico numero 1, con 39 omicidi e un numero indicibile di rapine e di evasioni.
Un altro egocentrico che affascina Lebovici, senza neanche doverlo conoscere personalmente. Gli basta la sua autobiografia, scritta durante uno dei periodi di detenzione, che ovviamente viene pubblicata da Champ Libre. Lebovici ritiene Mesrine un simbolo di libertà e afferma che esserne l’editore è per lui un “onore formidabile”.
Dopo l’uccisione del criminale in un conflitto a fuoco con la polizia, prende sotto tutela la figlia di Mesrine, Sabrina, e le offre lavoro in casa editrice.
Qualche ore prima di essere ucciso, Lebovici riceve delle telefonate ambigue: la voce dice di chiamare “per conto di Sabrina”. Il produttore segna una nota su un foglio, disdice tutti gli appuntamenti e chiama la moglie per avvertirla che farà tardi. Verrà ritrovato deceduto all’interno della sua auto in un parcheggio parigino.
Sul tappetino dell’auto tre bossoli, il quarto è posizionato in verticale nella zona posteriore della vettura. Probabilmente una firma o un messaggio in codice che fanno presagire un delitto commissionato. Sembra la scena di un film, ma è solo l’inizio di un caso che riserverà infinite ipotesi investigative e nessuna soluzione.
Un caso misterioso come lo stesso protagonista, tuttora rimasto sospeso, proprio come Lebovici è stato nell’arco della sua esistenza. Sospeso tra bene e male, tra avanguardia e compromesso, tra alti e bassi, tra spirito ribelle e mente influente. Lebovici, l’eminenza grigia dall’anima nera.
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di Veronica Cirigliano
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2024-02-14 10:30:00 ,