ROMA – “Manlio e Gigi avevano due caratteri affini, la riservatezza li accomunava insieme con la fuga dalla retorica di ogni nome”, ricorda Angela Scopigno, la moglie dell’allenatore che nel 1970, dopo un secondo posto, portò il Cagliari di Gigi Riva allo scudetto. Nel giorno dei funerali in Sardegna di “Rombo di tuono”, nella sua bella casa romana piena di ricordi anche di quell’anno passato sull’Isola insieme con Manlio Scopigno – conosciuto a Rieti, dove lui giocava, quindi allenò – e la loro figlia Francesca, l’ex insegnante rievoca il legame tra i due protagonisti del tricolore di 54 anni fa.
Cosa univa suo marito a Gigi Riva?
“Un profondo affetto, non esplicitato in maniera plateale. Erano persone sobrie anche dal punto di vista affettivo. So che Gigi voleva bene a mio marito, anche se, per dire, non è che si telefonassero. Ma quel calore, il grande campione, sapeva come trasmetterlo”.
Manlio Scopigno ha avuto grande merito nello sviluppo del formidabile centravanti azzurro.
“Non entro nelle questioni meramente sportive, non è il mio campo e di calcio a casa non si parlava mai. Ma certo che i ‘ragazzi del ‘70’, io li chiamo ancora così, gli hanno sempre riconosciuto il merito di averli fatti innanzitutto diventare uomini, ossia crescere sul piano umano prima che atletico o tecnico”.
Quando avete visto Gigi Riva l’ultima volta?
“Nel 2015, quando a Cagliari è stata intitolata una piazza a mio marito. Con mia figlia abbiamo incontrato Gigi nel ristorante dove lui andava sempre. Era seduto a pranzare con due amici. Io ero con Francesca e con una sua amica carissima. Riva fu davvero cortese e gentile: ci dimostrò quanto affetto provasse per ‘il mister’, quanto stretto fosse il legame tra loro”.
Anche dopo tanti anni dalla morte nel 1993 di suo marito?
“Sì, certo. Io sono certa che Gigi si operò affinché a Cagliari nascesse una piazza Manlio Scopigno”.
Lo ricorda a Cagliari negli anni dei trionfi calcistici? Voi della famiglia Scopigno seguivate la squadra?
“Lo ricordo solo attraverso la memoria delle parole di Manlio. Venendo alla seconda domanda, dico di no: il calcio non entrava in casa e noi non ci occupavamo del lavoro di mio marito. Per me loro restano però i suoi ragazzi. Come Nenè che a Cagliari mai ricevette gli insulti di cui sono bersaglio, oggi, i giocatori di colore, come accaduto a Udine con Maitan, il portiere del Milan (sabato scorso la partita sospesa per5’ al Friuli, ndr). E che poi venne a Roma a fare la cresima per sposarsi: ricordo che lo accompagnammo apposta a San Giovanni”.
Lei li ha più frequentati quegli undici campioni?
“No, siamo rimaste solo un anno in Sardegna, poi siamo tornate a Roma. E io li voglio ricordare come erano, Gigi e gli altri ‘ragazzi del ‘70’: giovani, belli e felici”.