Erano le 5.30 del mattino del 17 febbraio 1600. Filippo Giordano Bruno, filosofo condannato come eretico dalla chiesa, viene arso vivo in Piazza Campo de’ Fiori a Roma. Condannato per aver difeso, pagano con la sua stessa vita, la libertà di pensiero. Le sue posizioni, in contrasto con quelle del clero, la sua visione e la sua idea d’infinito, fanno di Bruno una delle figure più affascinati del mondo filosofico.
Un pensiero, quello bruniano, offuscato inizialmente dalla mitizzazione della sua morte, ma che, con il tempo ha raccolto un numero sempre crescente di seguaci.
“Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam“, forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla. Le parole del nolano, pronunciate al termine della lettura della sua condanna a morte, da parte dei cardinali inquisitori Benedetto Mandina, Francesco Pietrasanta e Pietro Millini. Sono il riassunto perfetto della sua figura.
Sono trascorsi 421 anni da quel giorno. La città che gli ha dato i natali, e che Bruno ha sempre portato nel cuore e nella mente, gli ha reso oggi omaggio, seppur in tempo di pandemia. Il primo cittadino, Gaetano Minieri, ha apposto una corona di fiori ai piedi della statua che campeggia nella piazza a lui dedicata.
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