Giulia Cecchettin, noi uomini siamo tutti responsabili del suo assassinio

Giulia Cecchettin, noi uomini siamo tutti responsabili del suo assassinio


Con l’omicidio di Giulia Cecchettin sono 105 le donne che sono state uccise in Italia nel 2023. Di queste, 82 sono state ammazzate in ambito familiare o affettivo, 53 dal partner o dall’ex partner. Pochi giorni prima di lei, la dottoressa Francesca Romeo veniva fucilata in Calabria e Patrizia Lombardi strangolata dal figlio a Capodrise, a Caserta. Tre storie diverse, ma uguali nella corsa all’assoluzione del popolo maschile.

Basta girare sui social e leggere i commenti lasciati dagli utenti maschili. “Io no”, “Non tutti gli uomini”, “La responsabilità è sempre personale”, “Io non sono cresciuto con questa mentalità” e altre giustificazioni per lavarsi la coscienza al bagno pubblico, perché, in fondo, ci interessa solo quello. Ci interessa, come insegnato dall’individualismo competitivo neoliberale, mostrare il nostro essere meritevoli, salvare l’io sotto gli occhi del pubblico, dimostrare che i problemi degli “altri” sono un problema individuale, che non ci tocca.

Lo stesso meccanismo si innesca tutte le volte che ci troviamo in un gruppo di maschi in cui si fanno “chiacchiere da spogliatoio”, usando l’espressione resa famosa dall’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, per giustificare le sue dichiarazioni sessiste e sessualmente aggressive. Anche in questo caso, per mostrarci meritevoli, abbiamo lasciato correre commenti sessisti, foto scambiate senza consenso, atteggiamenti tossici e abusivi per salvarci agli occhi del gruppo, essere meritevoli della loro fiducia. Oppure, siamo stati proprio noi a fare queste cose, per aumentare il nostro successo individuale agli occhi degli altri.

Così siamo entrati in quella che la sociologa Elisabeth Noelle-Neumann ha chiamato “spirale del silenzio”, un circolo vizioso che si innesca quando si sopprime la propria reale opinione per paura di riprovazione e isolamento da parte di una presunta maggioranza. Un silenzio in grado di rafforzare la percezione collettiva che non ci siano opinioni diverse da quella della maggioranza e, quindi, rafforzare il silenzio di chi si crede in minoranza, rendendo estremamente difficile l’uscita dalla spirale e, a volte, portando all’omologazione.

Le conseguenze di questo meccanismo sono state spiegate in un post a riguardo del femminicidio di Giulia Cecchettin, scritto dagli attivisti Luce Scheggi (loro/essi): Gli uomini che amo, hanno scelto di chiudersi nella bolla transfemminista, perché hanno capito che era più sicura, anche per loro si legge su Instagram. E ciò accade perché le minoranze escono dai canali mainstream e cercano bolle in cui potersi esprimere, sentirsi adeguate e comprese. “La verità però è che dentro alla bolla non ci servite a niente, è fuori che dovete andare”, continua il post.





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di Kevin Carboni www.wired.it 2023-11-20 14:45:39 ,

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