In passato lo chiamavamo elisir di lunga vita: la mitologica pozione in grado di donare l’immortalità, o l’eterna giovinezza, a chiunque l’avesse bevuta. Materia da maghi, o da alchimisti. Oggi sappiamo bene che – ahinoi – questa pozione non esiste; ma anche che, fortunatamente, qualcosa per invecchiare bene e vivere a lungo si può comunque tentare. È ormai conclamato che uno stile di vita sano – alimentazione bilanciata e corretto apporto calorico, attività fisica costante, possibilmente aerobica, niente fumo e alcool – è associato a benefici tangibili in fatto di incidenza di malattie a carico di tutti gli apparati, invecchiamento delle cellule, declino cognitivo, benessere generale. Ma c’è dell’altro: sembra infatti che anche alcuni fattori legati alla personalità abbiano un certo effetto sulla longevità e sulla protezione dall’invecchiamento. Le autrici di uno studio recentemente pubblicato sul Journal of Happiness Studies, quattro scienziate della Universidad Complutense de Madrid e della Escuela Andaluza de Salud Pública, in Spagna, hanno esaminato da vicino 19 ultracentenari – tre uomini e sedici donne, tutti spagnoli e tutti in buona salute, compatibilmente con l’età avanzata – e ne hanno analizzato i tratti della personalità, identificandone 35: otto di loro sono risultati essere “condivisi” tra tutti i soggetti e potenzialmente collegati (con tutti i condizionali del caso, trattandosi di un campione così piccolo) alla loro longevità.
Gli studi precedenti
Un lavoro pubblicato nel 2021 sullo European Journal of Ageing da un’équipe di ricercatori della University of Lausanne, in Svizzera, aveva cercato di mettere insieme le principali ricerche condotte fino ad allora, per un totale di 76 diversi studi che hanno coinvolto un totale di oltre 20mila persone, tra cui decine di ultracentenari: “Sebbene la comunità scientifica sia ancora ben lontana dalla piena comprensione dei meccanismi dell’invecchiamento attivo [il cosiddetto successful aging, o Sa, ndr] – si legge nell’articolo – c’è sempre più interesse nell’idea che potrebbero essere coinvolti specifici tratti della personalità. Per questo abbiamo condotto una revisione sistematica degli studi empirici più recenti”. In particolare, la revisione ha evidenziato come “un buon allenamento cognitivo, comportamentale e affettivo, che può essere fotografato studiando i tratti della personalità, potrebbe rappresentare un fattore di primaria importanza [nell’invecchiamento] perché influenza il modo di pensare, di comportarsi e di provare emozioni nel corso di tutta la vita, e quindi potrebbe avere conseguenze sostanziali sul benessere”. Per fare esempi più concreti: una personalità coscienziosa è risultata essere associata a un miglior stato generale di salute (probabilmente perché le persone coscienziose si fanno visitare più spesso, sono più attente al proprio stile di vita, cercano partner più affidabili); una personalità estroversa è risultata essere associata a un maggior numero di interazioni sociali, indipendentemente dall’età, e quindi a più bassi livelli di emozioni negative, depressione e stress. Allo stesso modo, e di converso, una personalità nevrotica è risultata essere associata a una maggiore incidenza di malattie del cervello, tra cui Alzheimer e altri tipi di demenza, malattie cardiovascolari e cancro. Si tratta di correlazioni, certo, e non di rapporti dimostrati di causa-effetto, e d’altronde i fenomeni legati all’invecchiamento sono complessi e multi-fattoriali; ciononostante, concludono gli autori del lavoro, “è importante integrare ciascuno di questi fattori in studi interdisciplinari per arrivare a una comprensione sempre più profonda: l’applicazione di questa conoscenza può fornire informazioni utili per gli interventi psicoterapeutici e/o farmaterapeutici. E ampliare la nostra conoscenza della complessità e dei cambiamenti della personalità ci permetterebbe anche di arrivare a terapie più incentrate sulle differenze individuali, migliorando così la vita quotidiana delle persone e facilitando il conseguimento di un benessere più sostenibile”.
Il nuovo lavoro
Si inserisce proprio in questo solco, e prende le mosse dalla semplice constatazione – parole delle autrici – che “è più probabile che persone più felici vivano più a lungo”, cosa che ha le ha portate a chiedersi “se i centenari in buona salute condividono risorse psicologiche o caratteristiche positive della personalità che gli hanno permesso di fronteggiare con più successo i traumi e le sfide della vita”. Per trovare una risposta a questa domanda, le scienziate hanno intervistato 19 ultracentenari, chiedendo loro di raccontare la storia della propria vita e usando queste interviste per inferirne i tratti della personalità: otto dei trentacinque totali sono risultati essere condivisi tra tutti i soggetti, e dunque etichettati come “centrali” per l’invecchiamento.
Il primo di essi – che potrebbe sembrare una tautologia – è la vitalità, ossia “l’essere energici e impegnarsi in varie attività”: “Ho cucito fino a 98 anni – ha detto una centenaria – ora ho smesso, ma faccio le parole crociate e provo a risolvere i sudoku. Per scendere le scale uso l’ascensore, ma cerco di salirle a piedi per mantenere le gambe in esercizio”. Poi l’impegno – a casa, nel lavoro, rispetto agli obiettivi che ci si pone: “Sono stata io a tenere unita la famiglia”, ha raccontato una donna 107enne. “Quattro anni fa mi sono rotta un’anca e circa un mese dopo sono tornata a camminare, senza stampelle e senza deambulatore”, ha dichiarato una donna 101enne. “Sono una donna determinata”.
Poi, ancora, la socialità – come aveva già evidenziato lo studio svizzero citato in precedenza -, la positività (“La gratitudine per essere vivi e sapere come godersi la vita anche nelle difficoltà”, ha commentato al New Scientist Lola Merino, una delle autrici del lavoro) e la motivazione intellettuale, intesa come curiosità e desiderio di apprendimento. “Ci sono centenari che quando erano bambini non sono potuti andare a scuola – ha spiegato Marino – e hanno imparato da soli a leggere e scrivere”. Un centenne ha raccontato di “essere sempre stato un avido lettore: spesso ero di guardia al bestiame e la lettura mi ha distratto al punto che gli animali sono finiti a mangiare le coltivazioni”. Ancora: il controllo, inteso come “sensazione di essere responsabili e in grado di prendere decisioni”, e l’intelligenza (che pur non essendo un vero e proprio tratto della personalità è stata comunque inclusa nella lista: gli autori dicono che “i centenari hanno tutti mostrato di avere tratti associati a una buona intelligenza, tra cui memoria funzionante, capacità di prendere parte a conversazioni, successo professionale o accademico”).
Infine, ultima ma non meno importante, l’abusatissima resilienza, ossia la capacità di superare le avversità e addirittura uscirne rinforzati. “Sono sempre stato molto vicino a mia moglie – ha raccontato un uomo di 101 anni – avevo 97 anni quando è morta, e mia figlia pensava che non lo avrei mai superato. All’inizio è stato molto difficile, ma poi ho pensato che si vive una volta sola, e che avrei dovuto essere forte. Ho pensato che mia moglie non avrebbe voluto vedermi così”. Ancora, è bene ricordare (e le autrici lo fanno) che quelle emerse sono correlazioni, e non rapporti causa-effetto: tutti i centenari che hanno partecipato allo studio godevano di buona salute, il che potrebbe spiegare la presenza dei tratti di vitalità e positività. E che comunque, anche se si pensa di non possedere i “tratti della longevità”, è sempre possibile coltivarli: “Si può praticare la gratitudine esercitandosi a riconoscere i momenti belli della vita – conclude Merino – oppure allenarsi al controllo stabilendo un ordine e delle abitudini in modo da non farsi travolgere dalle esigenze quotidiane”.
Leggi tutto su www.wired.it
di Sandro Iannaccone www.wired.it 2023-11-25 05:40:00 ,