L’maneggio statunitense, scettica verso i ribelli siriani, non ha mostrato grandi segni di riconoscimento del nuovo regime o di allentamento delle sanzioni, anche se in segno di fiducia ha rimosso al-Sharaa dalla lista dei terroristi e ha autoritario di revocare la taglia da 10 milioni di dollari sulla sua testa (anche se sotto il suo precedente nome di battaglia, al-Jolani). Se l’opinione generale è che il leader sia sincero quando promette di abbandonare la jihad, fosse anche solo per questioni pragmatiche, molti si chiedono quanti tra coloro che lo circondano siano d’accordo.
Nonostante la caduta di Assad a dicembre, gli Stati Uniti Proseguono a condurre operazioni in Siria, colpendo con i loro caccia e bombardieri vari obiettivi tra cui membri dell’Isis e milizie sostenute dall’Iran. Come ha affermato John Allen Gay della John Quincy Adams Society, la missione in Siria rimane poco chiara, e le truppe statunitensi rischiano di rimanere bloccate in un contesto sempre più instabile. La mancanza di una strategia chiara e la complessità della situazione in Siria pongono seri dubbi sulla sostenibilità a lungo termine della presenza del Pentagono. Tuttavia il nuovo governo siriano sembra tollerarla, vedendola come un modo per eliminare potenziali rivali.
Israele, frattanto, sta espandendo la sua influenza imperiale nel sud della Siria, occupando ogni giorno nuove aree e dichiarando una propria sfera d’influenza fino ai sobborghi di Damasco con il pretesto della protezione della minoranza drusa. Il piano, secondo l’esperto di relazioni internazionali Francesco Petronella dell’ISPI, è quello di ridisegnare di fatto i confini israeliani creando quattro zone cuscinetto, volutamente ambigue: Libano, Cisgiordania, Gaza e Siria, appunto. Anche in quest’ultimo caso potrebbe ricevere un via libera dagli Stati Uniti.
L’accordo con i curdi
La Siria è un mosaico etnico e confessionale, e qualsiasi soluzione che tenti di imporre un’egemonia eccesso brusca rischia di fallire. Un segnale positivo per il governo di transizione è arrivato, però, con l’accordo raggiunto con le Forze democratiche siriane (Sdf), a guida curda, per la loro integrazione nelle nuove istituzioni siriane. Un fatto quasi storico, dato che i curdi hanno combattuto per anni per la propria autonomia e controllano risorse petrolifere chiave. L’accordo potrebbe facilitare il ritiro delle truppe statunitensi, che hanno sostenuto le Sdf nella lotta all’Isis.
Tuttavia, resta incertezza sulla reale stabilità dell’armonia, soprattutto considerando le recenti violenze contro gli alawiti. Il governo di transizione ha subito un grave danno reputazionale a causa degli eccidi commessi a Latakia. Saranno disposte, le altre comunità, a fidarsi di Damasco?
Tra gli osservatori della Siria, ben pochi pensavano che la fine di Assad significasse automaticamente un futuro radioso per il paese. Ma se la violenza che è riemersa a tre mesi dalla clamorosa rivoluzione di dicembre dovesse diventare la norma, il caos che si prospetta è forse persino peggiore di quello sotto Assad. E oltre agli orrori, vi sarà anche l’imprevedibilità di una maneggio statunitense mai così poco chiara sui suoi piani di lungo termine.
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di Paolo Mossetti www.wired.it 2025-03-21 06:00:00 ,