La fine della legislatura si avvicina. Mario Draghi già oggi potrebbe rassegnare le sue dimissioni. Il Movimento 5 Stelle ha deciso di non votare la fiducia sul decreto Aiuti e uscirà dall’Aula. La conferma è giunta ieri sera direttamente da Giuseppe Conte al termine di una giornata caratterizzata da una tensione crescente e lunghissime riunioni. «Non siamo disponibili a concedere cambiali in bianco, le dichiarazioni di intenti non bastano», ha detto il leader M5s definendo «insufficienti» le aperture del premier e intestandosi però allo stesso tempo quanto Draghi ha anticipato martedì sull’imminente arrivo di un nuovo decreto a sostegno del potere d’acquisto delle famiglie. Anzi ha detto che se questo decreto arriva è «merito» del Movimento.
La telefonata tra Draghi e Conte
La scelta di Conte è però gravida di conseguenze. «Se non votate la fiducia non sono disponibile ad andare avanti». Più o meno queste le parole ripetute ieri dal premier rispondendo alla telefonata di Conte per un ultimo tentativo quando ancora la decisione non era stata presa. E altrettanto netti poi erano stati nel corso del pomeriggio Matteo Salvini ed Enrico Letta. «Se i 5Stelle non votano un decreto della maggioranza, fine, parola agli italiani. Si va a votare», aveva detto il leader della Lega. Con toni diversi ma con lo stesso significato è intervenuto il segretario dem: «Non è una nostra ripicca il fatto di dire che se cade il governo si va al voto. È nella logica delle cose».
Il no del premier a ultimatum
Nella telefonata Draghi ha ripetuto al suo predecessore quanto aveva detto pubblicamente il giorno prima e che cioè il governo non può rimanere ostaggio e paralizzato dai veti («ultimatum») che di volta in volta vengono presentati da questo o quel partito della maggioranza per di più in una situazione drammatica come l’attuale, con l’inflazione che morde, la guerra in Ucraina, l’altro rischio di un ulteriore peggioramento dell’economia. «Questo governo è nato per fare le cose altrimenti perde di senso», è il mantra del premier che ha poi ribadito a Conte la volontà di procedere speditamente su alcuni dei punti dell’agenda di Governo – a partire dal taglio del cuneo e dall’introduzione del salario minimo – che coincidono con le priorità indicate anche da M5s. Pensare però di poter andare avanti dopo che uno dei principali partiti della maggioranza non vota la fiducia non è ipotesi percorribile.
La scommessa dei Cinque Stelle
Conte dopo un nuovo giro di tavolo con il vertice del Movimento alla fine ha confermato che oggi i senatori pentastellati non parteciperanno al voto. L’annuncio è stato accolto da un’ovazione dei parlamentari. In realtà la scelta dell’ex premier non è apprezzata da tutti. Prendendo a prestito il linguaggio del poker qualcuno in questa partita sta bluffando. La mossa di Conte adesso rimette il cerino non solo nelle mani di Draghi ma anche degli altri partiti della maggioranza. I 5 Stelle scommettono sul rinvio alle Camere del premier. A quel punto sarebbero gli altri partiti a doversi prendere la responsabilità di non confermare la fiducia. Una mossa spregiudicata nella quale c’è la convinzione che nessuno davvero voglia il ritorno al voto. Giorgia Meloni dall’opposizione alza già il tiro: «Basta giochi di Palazzo subito al voto».
«Non disponibili a dare una cambiale in bianco»
Conte parlando con i suoi parlamentari ha ripetuto: «Non possiamo che agire con coerenza e linearità, i cittadini non comprenderebbero una soluzione diversa», aggiungendo poi che se Draghi ha annunciato «un corposo decreto a fine luglio, questo è uno snodo politico importante, ammette indirettamente quello che il M5s diceva da tempo, che gli aiuti stanziati non sono sufficienti. Sono una soluzione tampone». Un decreto che in realtà a questo punto c’è da capire se sarà ancora questo Governo a presentare. «Siamo assolutamente disponibili a dialogare e dare un nostro contributo costruttivo a questo governo e al premier Draghi ma non siamo però disponibili, non per arroganza ma per sensibilità verso famiglie e imprese, a dare una cambiale in bianco», ha insistito Conte. Chissà che la cambiale ora non siano chiamati lui e il M5s ad onorarla nelle urne.