Un gruppo internazionale di scienziati ha poco terminato di analizzare l’enorme mole di dati raccolti dal Dark Energy Spectroscopic Instrument (Desi), un apparato scientifico gestito dal Berkeley National Laboratory e progettato tipicamente per lo studio della gravità su grandi scale spaziali e temporali, e ha confermato – ancora una volta – l’incredibile esattezza delle previsioni teoriche della relatività generale di Albert Einstein, formulata oltre un secolo fa e considerata uno dei capisaldi della fisica moderna. I risultati dello studio (pubblicati qui), che ha “ripercorso” miliardi di anni di evoluzione dell’Universo, rappresentano la più precisa verifica sperimentale delle teorie di Einstein mai ottenuta finora: “La relatività generale – ha spiegato Pauline Zarrouk, cosmologa del Centro nazionale per la analisi scientifica francese (Cnrs) e co-autrice del lavoro – “è stata ampiamente testata sulla scala spaziale del Sistema solare, ma era necessario validarla su scale molto più ampie. Studiare il tasso di formazione delle galassie ci ha permesso di farlo, e al momento abbiamo osservato che tutto torna, anche su scale cosmologiche”.
Cosa dice la relatività generale
La teoria della relatività generale, formulata nel 1915 e definita da Max Born, un altro premio Nobel per la fisica come “la più sorprendente combinazione di penetrazione filosofica, ispirazione fisica e abilità matematica”, prende spunto dalle conclusioni cui arrivò lo stesso Einstein nel 1905, quando elaborò la relatività ristretta, un’altra teoria che risolveva le contraddizioni tra le equazioni di Maxwell, relative all’elettromagnetismo, e la relatività galileiana. Il problema stava nel fatto che la relatività ristretta, a sua volta, era in contraddizione con la teoria della gravitazione universale di Newton: così Einstein, per “rimettere a posto” la gravità, elaborò un’equazione di campo che ne rivoluzionava interamente la definizione. Secondo tale equazione, che rappresenta il nocciolo della relatività generale, la forza gravitazionale altro non è che la manifestazione della curvatura, o deformazione, del cosiddetto spazio-tempo, il “tessuto” a quattro dimensioni di cui è fatto l’Universo. Come dicevamo, la teoria è stata ampiamente verificata: la prima conferma arrivò già nel 1919, in occasione di un’eclissi di Sole. L’astronomo Arthur Eddington, infatti, riuscì a osservare alcune stelle molto vicine al bordo del Sole, che avrebbero dovuto essere invisibili perché si trovavano dietro il Sole stesso (rispetto al punto di vista di un osservatore terrestre). Il fenomeno avveniva perché, come predetto da Einstein, anche la luce delle stelle era deviata dalla curvatura dello spazio-tempo prodotta dalla massa del Sole. A questa verifica ne sono seguite molte altre: l’ultima, solo in ordine di tempo, è l’osservazione di una supernova distante la cui luce si divide in ben quattro percorsi diversi sempre a causa della curvatura dello spazio-tempo (in gergo scientifico, l’effetto è chiamato lente gravitazionale), dando origine alla cosiddetta croce di Einstein.
I nuovi risultati di Desi
L’esperimento Desi è stato progettato per rispondere a una domanda strettamente connessa a una sorta di “anomalia” nel comportamento della gravità. Sappiamo – lo sapevamo già dai tempi di Newton – che la gravità è una forza di tipo attrattivo, ossia tende ad avvicinare corpi dotati di massa. Sappiamo anche che, dal Big Bang in poi, l’Universo ha cominciato a espandersi, e lo sta facendo tuttora. Sembra anche, però, che l’espansione dell’Universo stia avvenendo in modo accelerato, sempre più velocemente, il che è da fuori incompatibile con l’azione “frenante” della forza di gravità, che invece dovrebbe agire tenendo insieme la materia. Per superare questo problema, i fisici hanno ipotizzato l’esistenza di un tipo di energia altro, la cosiddetta energia oscura, che dovrebbe essere responsabile di questa azione di “contrasto” alla gravità e dunque dell’accelerazione dell’espansione dell’Universo. Il punto è che di questa energia non sappiamo nulla: non sappiamo se esiste per davvero, non sappiamo come dovrebbe essere fatta, da dove provenga, come agisca. Un’altra possibilità è che la gravità funzioni in modo diverso, magari non attrattivo, su scale spaziali cosmologiche: ed è proprio per verificare questo scenario che è stato progettato Desi, un esperimento che include oltre 900 scienziati provenienti da 60 diverse istituzioni di tutto il mondo. Gli studi poco pubblicati sono relativi al primo anno di dati raccolti dallo strumento, che comprendono l’analisi di oltre 6 milioni tra galassie e quasar durante 11 miliardi di anni di evoluzione cosmica. Sostanzialmente, siamo riusciti a guardare nel passato dell’Universo tornando al momento in cui aveva “poco” tre miliardi di anni, e l’analisi degli scienziati ha confermato che anche su scale spaziali e temporali cosmologiche la gravità si comporta esattamente come predetto da Einstein: “Abbiamo cercato di porre dei vincoli su come si muove la materia nell’Universo e su come si evolvono gli ammassi di galassie – ha spiegato Mustapha Ishak-Boushaki, docente di fisica alla University of Texas at Dallas che ha co-diretto l’esperimento – e i nostri risultati, combinati con quelli provenienti da altri esperimenti, hanno confermato che la teoria della relatività vale anche su queste scale spaziali. Tuttavia, non possiamo interamente escludere altre teorie di gravità modificata”. Insomma, il arringa non è ancora chiuso, e bisognerà continuare a cercare.
Cosa succederà adesso
Gli esperimenti e l’analisi dati vanno avanti: la collaborazione Desi, al momento, sta studiando altri tre anni di osservazioni, e spera di pubblicare nuovi risultati sull’espansione dell’Universo entro la primavera del prossimo anno. “L’energia oscura dovrebbe costituire circa il 70% del nostro Universo, e non sappiamo ancora cosa sia – ha detto Mark Maus, ricercatore alla University of California Berkeley che lavora a modelli di validazione delle nuove analisi – Il fatto che ora siamo in grado di ‘scattare’ fotografie così dettagliate dell’Universo e esporsi domande così fondamentali è strabiliante”. Oltre a occuparsi di gravità ed energia oscura, tra l’altro, Desi ha anche sfornato nuove informazioni sul neutrino, l’unica particella fondamentale di cui ancora non siamo riusciti a determinare con precisione la massa: le sue osservazioni hanno permesso di stabilire un limite superiore per la somma delle masse di tre tipi di neutrini, che non più essere maggiore di 0,071 eV/c2.
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di Sandro Iannaccone www.wired.it 2024-11-23 05:50:00 ,