La messa in scena è maestosa, pittorica e a tratti mesmerizzante. Ancor più impressionante è la prova attoriale di Olivia Colman nei panni di Miss Havisham. Una personalità volutamente non indagata nelle sue viscere da Dickens diventa l’oggetto di una disamina aberrante, uno sguardo in un abisso di follia, rancore, sofferenza, sadismo, solitudine e necessità di dare un senso al dolore che si tramuta in una delirante pantomima di vendetta. In ogni momento in cui la Colman esce dall’inquadratura si anela solo il suo ritorno. In questo senso Olivia si attesta come un’attrice invadente, che accentra tutta l’attenzione su di sé a scapito degli altri interpreti e personaggi, a scapito dello show. Non sarebbe necessariamente successo se i giovani interpreti dell’innocente Pip e della enigmatica Estella avessero tenuto testa all’attrice, ma era davvero possibile? Whitehead è piuttosto bravo – e un Pip azzeccato – mentre la Brune-Franklin è una scelta di casting infelice. Alla luce di questa constatazione, per quanto fin troppo abbagliante, la performance della Colman è un’esperienza imperdibile.
Per noi, ad attirarsi la denigrazione della versione di Knight è – e non è un fattore trascurabile – la scrittura, nella quale il virtuosismo dell’autore si dissolve. La sceneggiatura è disordinata, poco ispirata, tetra e disseminata di scelte opinabili che sviliscono o ridicolizzano la fonte, il lavoro di un immenso affabulatore. Quello che forse disturba di più è l’infusione di un paternalismo dostojevskiano che da Knight non ci aspetteremmo. Una serie che è impossibile giudicare come un’entità a sé stante, Great Expectations a volte non sembra affatto Dickens. L’innovativa Dickensian (serie di Bbc con protagonista il Joseph Quinn di Stranger Things che raccomandiamo), solamente ispirata ai personaggi del corpus letterario dell’autore, è molto più moderna e dickensian(a) di Great Expectations.
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di Lorenza Negri www.wired.it 2023-06-28 14:00:00 ,