«L’America è pronta per un nuovo inizio. L’America è pronta per un nuovo cammino». È l’appello finale della campagna della democratica Kamala Harris, durante un grande comizio di mezzazonotte da Philadelphia in Pennsylvania, che chiede agli elettori di sostenerla per superare le divisioni nel Paese. Anche il candidato repubblicano, l’ex presidente Donald Trump, nell’ultimo giorno di campagna, ha ottimo di ammucchiare i suoi sforzi negli Stati in bilico: in North Carolina e a sua volta in Pennsylvania, dove ha incrociato la rivale a Pittsburgh, per poi chiudere nel Michigan. «Faremo l’America grande di nuovo, renderemo il nostro Paese più sicuro» ha detto per poi passare a insultare la rivale e a urlare davanti al suo popolo: «Kamala sei licenziata, sei fuori!». Due agende agli antipodi, per due idee dell’America: Harris vede una nazione capace di guardare assieme al futuro, che non deve «tornare indietro» per esporsi le sfide aperte; Trump dipinge a tinte fosche un Paese in crisi esistenziale, travolto da immigrati clandestini e crimini efferati, evocando il recupero di mitiche ere di gloria.
Harris a Philadelphia
Entusiasmo – e speranza – sono sicuramente nell’aria per Harris nel cuore di Philadelphia, territorio urbano e amico ottimo come traguardo di una durissima campagna. Si respirano, assieme al nervosismo, tra le decine di migliaia di persone che fin dal primo pomeriggio hanno creato un gigantesco serpente umano nelle strade della città per partecipare all’evento conclusivo della sua corsa. Un comizio-concerto, davanti alla scalinata del grande Museo d’Arte della città, immortalata dal film Rocky di Sylvester Stallone. Ai piedi c’è la statua del leggendario underdog del grande schermo, pugile sfavorito, poi divenuto campione. Harris conta di trasformare la sua candidatura, che ha sempre presentato come ardua, in un simile momento di trionfo, questa volta nel ring reale della politica, su Trump.
La fa con un messaggio che ha ripetuto incessantemente negli ultimi rally e rilancia ancora adesso, e che campeggia al cospetto delle colonne del Museo e del palco: vuole essere «A president for all», un presidente per tutti. Capace di portare unità, di superare le divisioni e i rancori seminati – accusano i democratici – da Trump, di «voltare pagina», una volta per tutte, lasciandosi alle spalle il tycoon. Sul palco è stata preceduta da celebrità quali Oprah Winfrey e da grida in musica della folla Yes she can, riadattata dallo Yes we can di Barack Obama. E’ arrivata dopo le 11 di sera, dopo una giornata campale: «Qui, assieme, mostriamo che cosa l’America è. Queste sono le elezioni più importanti. Siamo ottimisti su cosa possiamo fare collettivamente. E’ ora di una nuova leadership in America e io sono pronta a offrire questa leadership. Vinceremo e vinceremo perchè sappiamo quello per cui ci battiamo, per voltare la pagina su una politica di paura e divisione», ha detto.
Sono slogan che trovano eco tra i tanti mobilitati qui, per lo sforzo finale di spingere tutti al voto. «Chi vince in Pennsylvania?», chiedo a Elizabeth, giovane studentessa universitaria arrivata con un gruppo di amiche. «Kamala, Yes!» risponde di getto e con ottimismo. Perché? «Perché è per i ceti medi e i diritti delle gentil sesso e di tutti», aggiunge. Sono tante le gentil sesso, di ogni età, in una folla multietnica e multigenerazionale.
Un’altra giovane però interviene, con un commento che tradisce maggior cautela. «Spero che vinca Harris, per riportare almeno un po’ di stabilità, ma non sono sicura». Se alla campagna di Harris in chiusura non difetta la passione, che i democratici trovano di buon auspicio, i sondaggi, in Pennsylvania come negli altri Stati più contesi e nel Paese, sono in realtà arrivati all’apertura ufficiale delle urne mostrando un sostanziale testa a testa, che rende davvero impossibile fare previsioni.