I bambini ci guardano – Calcio

I bambini ci guardano – Calcio


I piccoli grandi mostri. Quelli della porta accanto, quelli seduti vicino a noi o sulle ginocchia di qualche genitore. I bambini che scimmiottano gli adulti, gli adolescenti che sentono male e lo fanno. Strane creature. Sull’infanzia (presunta) innocente ha già scritto William Golding ne Il Signore delle Mosche e anche Stephen King sul tema ha prodotto un paio di libri niente male. In America è stato appena processato James Crumbley, il cui figlio minorenne fece una strage al liceo in Michigan nel 2021. Ethan aveva 15 anni, era un allievo dell’Oxford High School, periferia di Detroit. Il 30 novembre andò in bagno, tirò fuori dallo zaino una pistola semiautomatica e sparò. Uccise Hana St Juliana, 14, Tate Myre, 16, Madisyn Baldwin e Justin Shilling, 17, ferì altri sei compagni e un professore.

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Aveva convinto suo padre a comprargli l’arma pochi giorni prima, come anticipo del regalo di Natale, era un’occasione del Black Friday da non perdere (vuoi non approfittare dei saldi?) e aveva postato il messaggio: «Ho appena ottenuto questa bellezza». Una Sig Sauer 9mm. Il ragazzo nel dicembre scorso è stato condannato a una pena da adulto: ergastolo, senza possibilità di libertà condizionale. Si era dichiarato colpevole di 24 capi di accusa. «Sono veramente una persona cattiva, ho fatto cose terribili che nessuno dovrebbe fare».

Ethan è il primo minore a ricevere una sentenza che non prevede nessuna uscita dal carcere. E per la prima volta nella storia americana è stata chiesta la condanna anche dei suoi genitori, in due processi separati, con l’accusa di omicidio colposo involontario. Non tanto per quello che hanno fatto, ma piuttosto per quello che non hanno fatto. Nessuno dei due ha premuto il grilletto, ma la loro negligenza è costata vite umane. Hanno ignorato i segnali, per 421 volte il figlio nei siti web aveva cliccato la parola “sparatoria a scuola” e come ha detto la Pm: «Hanno contribuito alla tragedia». La madre Jennifer ha sottovalutato le pulsioni violente già manifestate dal figlio, non ha avvisato gli insegnanti che l’arma non era più in casa e ha rifiutato di andare a riprendere Ethan quando la scuola l’ha chiamata per avvisarla che il ragazzo aveva fatto un paio di disegni inquietanti su un foglio di matematica tra cui una pistola e un proiettile, oltre alle frasi “aiutatemi”, “sangue ovunque” e “la mia vita è inutile”. Era consigliabile la visita da uno specialista.

James Crumbley, padre di Ethan

James Crumbley, padre di Ethan 

Una settimana fa il processo è toccato al padre, James, 47 anni, anche per lui è stata chiesta una condanna. «Ha ignorato il deterioramento della salute mentale di suo figlio, non l’ha protetto e non ha fatto nulla per prevenire il pericolo». Il signor Crumbley nella sua villetta modesta con fuori la bandiera americana aveva altre due armi da fuoco, una Derringer e una Kel-Tec, entrambe calibro 22, custodite in una cassaforte nel comò della camera da letto, ma la cui combinazione di sblocco era 0-0-0-0, l’impostazione predefinita. Non bisognava essere Einstein e nemmeno Champollion per aprirla. In più gli investigatori hanno trovato la custodia della pistola e una scatola di munizioni vuote sul letto. Un cavo che avrebbe potuto bloccare la pistola era ancora nella sua confezione sigillata. I signori Crumbley, arrestati dopo la fuga in un edificio commerciale della città, sono in prigione e rischiano una condanna fino a quindici anni di carcere. Torneranno in tribunale il 9 aprile per la sentenza.

Mai negli Usa i genitori sono stati ritenuti responsabili per gli omicidi del figlio minorenne, altre volte sono stati dichiarati colpevoli di disattenzione e condannati ai lavori socialmente utili o a pagare danni. E se leggete il libro straziante di Sue Klebold, la madre di uno dei due ragazzi che nel ’99 uccisero tredici persone e ne ferirono ventiquattro nella Columbine High School, in Colorado, prima di togliersi la vita nella biblioteca, saprete che non sempre i segnali lampeggiano. Non ci sono avvisi della tempesta in arrivo. Dylan, suo figlio, non corrispondeva al modello del ragazzo escluso, solitario e violento, era riservato e affettuoso, ma capace di mascherare le tendenze suicide e la sua forte depressione. A casa non c’erano armi.

Stadio Mestalla di Valencia, Spagna, sabato 2 marzo, partita di Liga, c’è un bimbo incappucciato in una felpa che continua a urlare. E che sarà descritto come un pequeño fanático. È seduto sulle ginocchia della madre, una ragazza giovane, che non si cura della parola che esce dalla bocca del figlio. Sempre quella: mono, mono. Scimmia, in spagnolo. Non è il solo a insultare. Qualcuno riprende con un cellulare il bambino scalmanato. La madre se ne accorge, non dice al figlio di smettere, ma manda a quel paese e allontana in maniera brusca la ragazza che sta filmando. L’offesa è diretta al calciatore Vinicius junior, 23enne brasiliano del Real Madrid, molto perseguitato dai cori razzisti. La ragazza che riprende la scena tenta un rimprovero al gruppo che risponde: «Ci riferiamo a un animale». Tornano in mente le parole di Lilian Thuram, campione del mondo di calcio con la Francia nel ’98: «A scuola mi chiamavano Noiraude dal nome di un cartone animato con due mucche, una bianca e una nera, quest’ultima non ne faceva mai una giusta. Mi chiedevo: perché la mucca stupida deve essere quella nera?».

I bambini, sì. Il nostro futuro. Quelli buoni per principio. Quelli che vengono invitati allo stadio per sostituire i grandi cattivi. Piccoli, fateci vedere un altro domani e non il solito oggi. Ottobre 2021, partita di calcio Sparta Praga-Rangers Glasgow di Europa League: allo stadio ci sono diecimila ragazzi sotto i 14 anni in sostituzione della tifoseria abituale, squalificata per precedenti episodi di discriminazione nel match contro il Monaco nei confronti di Aurélien Tchouaméni, giocatore francese di origini camerunensi. E che ti fanno i bambini? Replicano, da perfette controfigure. Bersagliano di ululati razzisti il centrocampista Glen Kamara dei Rangers, originario della Sierra Leone e di nazionalità finlandese, lo applaudono ironicamente quando viene espulso. Le critiche indispettiscono lo Sparta Praga che in una nota definisce «inaccettabile e ridicolo insultare dei bambini su internet e sui media». Stesso atteggiamento della mamma di Valencia: i malvagi siete voi.

Sentire il vociare dei bimbi allo stadio è bello. È la stagione in cui il pallone è ancora gioco. Tenero il cartello: “Siamo piccoli ma tifiamo alla grande”. Forse anche premonitore. Nel 2013 la Juventus che ha le curve squalificate per cori razzisti contro il Napoli, decide alla sua ultima gara interna di riempirle con 12.500 allievi delle scuole calcio. Bella iniziativa contro la violenza. Ma se le voci sono infantili, gli insulti sono assai adulti. Quelli che cadono su Zeljko Brkic, portiere serbo dell’Udinese, ogni volta che rinvia il pallone. Il giudice sportivo sanziona la Juve con una multa di 5.000 mila euro e definisce i cori «un chiaro episodio di emulazione». La Juve replica esprimendo «il proprio sconcerto per l’ammenda comminata». Non si trattano così i baby tifosi, un po’ di riguardo per le nuove generazioni.

C’è chi si scandalizza per l’equiparazione bambini-adulti e c’è chi vorrebbe punire gli stessi bambini e i loro accompagnatori. Il futuro ha un volto antico, anche nelle partite tra ragazzi sono in aumento gli episodi di discriminazione. Il 10 marzo in provincia di Lucca un calciatore 14enne nel campionato Giovanissimi B, riservato ai nati nel 2010, ha offeso l’avversario con un insulto razzista. Il Signore delle Mosche finisce con l’amara illusione dell’ufficiale britannico che davanti all’orrore combinato dai ragazzi dice: «Mi sarei aspettato di meglio da un gruppo di ragazzi inglesi». Già, essere all’altezza delle aspettative. Cattivi Pensieri dove siete?



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