AGI – Il ministro della Giustizia Marta Cartabia ha chiesto “accertamenti urgenti” sulla vicenda del bimbo ucciso dal padre vicino a Varese. E i punti da chiarire appaiono molti e di sostanza tanto da far pensare che Daniele sarebbe potuto essere ancora vivo.
Le versioni discordanti di Procura e Tribunale
Che ci sia una certa confusione su come siano andate le cose lo testimoniano le versioni diverse sostenute dal presidente del Tribunale Cesare Tacconi e dalla procuratrice Daniela Borgonovo.
Il primo ha dichiarato alla stampa che la Procura non avrebbe contestato la pericolosità sociale di Daniele Paitoni quando ne chiese l’arresto a un giudice il 26 novembre scorso per il tentato omicidio di un collega. Ma in una nota Borgonovo sostiene al contrario di avere ipotizzato la pericolosità sociale, oltre all’inquinamento probatorio, e che fu il giudice a ritenere che l’uomo non fosse pericoloso per la comunità.
E’ un dettaglio che può avere influito nella decisione di consentire, poco tempo dopo, gli incontri tra il padre e il piccolo?
Più no che sì perché a ogni modo la Procura si era ‘limitata’ a chiedere i domiciliari e non il carcere. Resta però che secondo una parte della magistratura Paitoni poteva solo inquinare le prove, secondo l’altra era uno che poteva essere molto pericoloso. “E noi comunque non potevamo aggravare la misura richiesta” afferma Tacconi.
Il giudice non sarebbe stato avvertito della denuncia per lesioni
La tensione tra chi rappresenta i pubblici ministeri e chi i giudici esprime però un certo clima determinato anche da un altro aspetto, questo sì forse decisivo.
La Procura non avrebbe avvertito il giudice che poi ha dato l’ok agli incontri tra il genitore e il bambino che esisteva a carico dell’uomo una denuncia per lesioni e minacce presentata nella primavera scorsa dalla moglie e dalla suocera. Forse, anche e soprattutto perché maturata in ambito familiare, sarebbe suonata come un gigantesco ‘campanello d’allarme’ per quel magistrato che ha ritenuto Paitoni non pericoloso per il bambino.
Perché no il ‘Codice Rosso’
Nella nota diffusa “per evitare l’ulteriore diffusione di notizie inesatte”, Borgonovo precisa che le accuse erano lesioni e minacce, non maltrattamenti come riportato dai media.
Non un chiarimento a caso perché il Codice Rosso, la legge pensata per i morti di violenza di genere come Silvia, la mamma di Daniele, scatta nel caso dei maltrattamenti ma non per le minacce e nemmeno per le lesioni, a meno che non siano molto gravi, e non era questa la situazione.