“Questa camicia rappresenta l’immagine attuale della Palestina“. Denunciare le scene dei bambini che muoiono sotto le macerie e mostrare segni di pace con una V fatta con le dita. Alle Olimpiadi, la squadra olimpica della Palestina vuole far sentire il proprio grido di speranza, attraverso due atleti in modo particolare: il pugile (e portabandiera) Waseem Abu Sal e il nuotatore Yazan Al-Bawwab. Il primo – il 20enne che vive nella Cisgiordania (attualmente occupata e impossibilitato ad allenarsi con il suo allenatore al Cairo a causa delle restrizioni israeliane) – durante la cerimonia d’apertura sulla Senna, aveva indossato una camicia bianca con ricamati dei jet che sganciano bombe sui bambini mentre giocano a calcio. Jibril Rajoub – presidente del Comitato olimpico palestinese – ha dichiarato di aver verificato con il comitato organizzatore delle Olimpiadi di Parigi se la maglietta di Abu Sal violasse i regolamenti olimpici. “L’hanno approvata: è un messaggio di pace, per attirare l’attenzione contro la guerra, contro l’uccisione. Questo rispetta la Carta olimpica“.
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“Tutto ciò che chiedo è di essere uguali agli altri”
Un altro messaggio di pace arrivadalla Defense Arena del nuoto. Alza il braccio mostrando le dita a v – proprio in segno di pace – prima di presentarsi ai blocchi di partenza. Yazan Al-Bawwab – nuotatore palestinese con passaporto italiano – non si qualifica per le semifinali nel 100 metri dorso, ma riesce nell’intento di lanciare un appello volto a “fare sapere al mondo che siamo esseri umani, trattateci come tali. Posso fare sport come tutti gli altri, assomiglio a un ragazzino di Gaza”, ha dichiarato l’atleta classe 1999. “Meritiamo gli stessi diritti di tutti gli altri e vogliamo fare sport come tutti gli altri“. L’atleta olimpico racconta a La Presse la sua storia: “La mia famiglia è in Palestina, ho una famiglia allargata a Gaza. Non voglio parlare delle atrocità che sono accadute a loro, voglio solo far sapere che alcuni componenti della mia famiglia sono stati uccisi. Ma sono qui e rappresento la mia bandiera“.
Nato in Arabia Saudita e residente attualmente a Dubai ambisce a realizzare qualcosa per il suo paese, magari anche grazie a un ruolo di rilievo all’interno del Cio che spera di ottenere. “Se iniziamo a costruire infrastrutture sportive potrebbero trarne vantaggio molte persone. Dovremmo investire nella Palestina e nello sport palestinese, ma nessuno vuole farlo. Ho provato a realizzare un progetto, ma c’è una guerra in corso e non riesco a portarlo avanti”.
Il padre Rashad era un grande appassionato di nuoto. Poi, l’arrivo in Italia da rifugiato: da venditore di pomodoro a studente laureato in ingegneria a Genova. Oggi, entrambi gestiscono due aziende che si occupano di forniture di mobili. “Lui è il mio idolo, non mi ispiro a nuotatori o atleti, guardo le persone come mio padre che sono venute fuori dal nulla. Gli italiani gli hanno dato un’opportunità, e lui l’ha colta. Il governo gli ha dato anche il passaporto, senza quello non potrei viaggiare da nessuna parte con il mio passaporto palestinese. Perciò sono molto felice e orgoglioso di essere italiano“. Al-Bawwab si definisce un ‘half-italian’: “L’Italia è la ragione per cui sono qui. Non posso rappresentarla perché avete dei grandi nuotatori – ha dichiarato ai microfoni di LaPresse – Thomas Ceccon è un mio amico personale e anche il suo allenatore Alberto. Prego perché vinca la medaglia d’oro, è un ragazzo fantastico”.
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di F. Q.
www.ilfattoquotidiano.it
2024-07-29 16:30:51 ,