AGI – Sarà il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, nell’attesissima informativa alla Camera in programma martedì 19 a dire come e perché la manifestazione no green pass di sabato scorso è degenerata in un pomeriggio di “guerriglia urbana” culminato nell’attacco alla sede della Cgil.
Ma le prime analisi dei responsabili dell’ordine pubblico e la risposta odierna della stessa titolare del Viminale all’interrogazione di Fratelli d’Italia consentono già di mettere alcuni punti fermi.
Primo, la sottovalutazione della partecipazione alla protesta
Si aspettavano intorno a 3 mila persone, ne sono arrivate più di 10 mila. Lo ha ammesso a caldo lo stesso prefetto della capitale, Matteo Piantedosi: “Solo nelle ultime ore prima dell’evento, man mano che diverse migliaia di persone giungevano da tutta Italia è stato possibile rilevare un livello della partecipazione non solo quantitativamente molto elevato ma pure caratterizzato dalla variegata composizione dell’adesione alla manifestazione”
Quasi sicuramente i promotori si sono serviti di chat ‘chiuse’, in qualche caso criptate, che non è sempre facile intercettare integralmente soprattutto a poche ore dall’evento. Ma sicuramente ha giocato un suo ruolo anche il fallimento di molte delle iniziative sponsorizzate dalla galassia no vax, compreso il ‘blocco delle stazioni’ largamente annunciato sui media per poi rivelarsi un clamoroso flop. La protesta sembrava insomma aver perso la sua carica propulsiva.
Secondo, la composizione variegata della piazza
Con poche decine di ‘professionisti della violenza’ mischiati ad un numero decisamente superiore di persone ‘comuni’, mosse davvero solo dal desiderio di esprimere il proprio dissenso contro una misura ritenuta liberticida, questa eterogeneità ha complicato non poco la gestione dell’ordine pubblico.
Gestione che in epoca Covid – con la larga condivisione di tutte le forze politiche – è stata sin qui orientata ad una strategia di ‘contenimento’ e di sostanziale ‘riduzione del danno’.
La titolare del Viminale l’ha detto chiaramente, e lo ribadirà martedì in aula: fermare “nell’immediatezza” il leader di Forza Nuova e ‘anima’ della protesta, Giuliano Castellino, avrebbe comportato “l’evidente rischio di provocare reazioni violente da parte dell’interessato e dei suoi numerosi sodali, con la conseguente degenerazione della situazione dell’ordine pubblico”.
Terzo, le forze dell’ordine numericamente insufficienti
Ma il pericolo che gli apparati di prevenzione avevano intercettato – suggerito dai contenuti delle chat e poi confermato dalla dinamica degli eventi – era che i manifestanti puntassero in effetti alle istituzioni, ovvero a palazzo Chigi e al Parlamento: morale, i ‘Palazzi’ non sono stati nemmeno sfiorati e la sede della Cgil è diventata un target alternativo, simbolicamente molto appetibile e non difficile da raggiungere per il (folto) gruppo di manifestanti che, passando per villa Borghese, ha raggiunto corso Italia e si è trovato davanti al sindacato forzando un cordone quello sì troppo esiguo di agenti.
Quarto, l’infruttuosa mediazione con i leader del corteo
Dopo la dichiarata intenzione di ‘marciare’ sulla Cgil e di ‘andare a prendere Landini’, le forze di polizia – come emerge dalla richiesta di convalida dell’arresto della procura di Roma – hanno tentato a più riprese una mediazione con i tre “alla testa del corteo, Luigi Aronica, Roberto Fiore e lo stesso Castellino” ma i manifestanti hanno proseguito “opponendo una violenta resistenza nei confronti degli operanti che avevano attivato una carica di alleggerimento”.
Anche gli agenti posti a protezione della Cgil hanno tentato in extremis di far desistere i manifestanti dal loro progetto ma per tutta risposta sono stati aggrediti. E si è consumato l’assalto.