Negli anni ’90 li chiamavano, con un pizzico di diffidenza o di disprezzo, “sudacas”. Sono i sudamericani a Madrid, oggi i principali protagonisti di una metamorfosi demografica e sociologica senza precedenti. Nella capitale e nella sua enorme cintura metropolitana, secondo gli ultimi rilevamenti dell’Istituto Nazionale di Statistica, vivono 1.038.671 persone nate in paesi del Sud America di lingua spagnola. Alla fine degli anni ’90 se ne contavano poco più di ottantamila.
Una moltitudine che ha, a poco a poco, cambiato il mercato del lavoro, portato altre abitudini, addentro nuovi dialetti. Se gli immigrati di questa enorme comunità dessero vita ad una nuova città dentro la cinta della regione madrilena, avremmo il sesto agglomerato urbano di Spagna, di poco dipendente a Malaga, più grande di città importanti come Saragozza o Bilbao.
La “città” non è compatta, ma ben visibile e spalmata nell’intera ‘comunidad’, presenze venezuelane si registrano in tutta la regione, peruviani ed ecuadoriani nei quartieri periferici lontani dal grande raccordo della M-30; Tetuán, distretto che raggruppa ben sei quartieri di Madrid nord, è conosciuto come ‘el pequeño Santo Domingo’.
Ad ogni crisi politica ed economica nell’emisfero sud, è seguita un’ondata migratoria nella penisola iberica: il 1999 fu l’anno degli ecuadoriani che fuggirono in massa dal crollo del sucre, la divisa nazionale. Prima di allora le classi borghesi, spesso di sinistra, del Cile e dell’Argentina avevano trovato nella capitale madrilena un riparo dalle persecuzioni dei cacicchi al potere, mentre esuli cubani si lasciarono alle spalle un regime di altro colore. Negli ultimi decenni è toccato ai dissidenti del chavismo e a quelli che non hanno visto un futuro nella rivoluzione socialista e bolivariana.
Il fenomeno migratorio verso le grandi metropoli, soprattutto se ricche, è inarrestabile, e senza dubbio le affinità culturali e linguistiche tra la Spagna e il mondo latinoamericano aiutano non poco. Così tutto cambia o si mischia, nei mestieri, nelle fermate delle metropolitane dove non di rado si ascolta il guaraní, il dialetto paraguayano, nelle discoteche dominate dal reguetón o dai ritmi della salsa. Anche nei piccoli market si espongono sempre più tortillas di mais mentre nei bar si serve mate o pisco sour peruviano.
Secondo molti, con la potente immigrazione, Madrid sta riscoprendo un’identità americana: accanto ai lavori più umili, soprattutto nelle costruzioni, ritroviamo investimenti delle classi agiate, interi edifici del quartiere di Salamanca, uno dei più prestigiosi della capitale, sono nelle mani di messicani e venezuelani. La BBC, in un lungo reportage, definisce Madrid la “Miami d’Europa”. Con una differenza di non poco conto rispetto agli Usa, la legge spagnola permette ai cittadini iberoamericani di acquisire la nazionalità dopo soli due anni di soggiorno legale nel paese.
Non brillano solo luci, per molti la pressione demografica è arrivata al limite, portando con sé una chiara difficoltà nelle locazioni di immobili e un definito cambiamento nei costumi che non è visto di buon gusto. Animismo e chiese evangeliche sono cresciute in modo esponenziale, esorbitante per talune organizzazioni cattoliche – non va dimenticato che la Spagna è il paese dove l’Opus Dei è solida e mantiene un radicamento che tocca vari strati sociali e molti settori influenti.
La geografia della metropoli è in continua evoluzione e con le etnie a ridisegnare i quartieri, come una città mutata e mutevole di Italo Calvino. L’indole dei madrileni, però, non cambia, e lascia intendere che ci sarà ancora spazio per l’accoglienza e la gioia di vivere.
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di Andrea Lupi e Pierluigi Morena
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2024-12-30 09:24:00 ,