i suoni dell’orrore nella sua cinematografia
| Wired Italia

i suoni dell’orrore nella sua cinematografia | Wired Italia


Molto spesso si imputa al cinema contemporaneo di non avere coraggio. Coraggio di ribaltare gli stereotipi di genere, coraggio nel riscrivere alcuni dogmi cinematografici ancora oggi vigenti, coraggio nel ribaltare la visione di una storia attraverso unicamente una percezione sensoriale e sonora. In una cinema che ha sempre più bisogno di esplorare nuovi concetti, di intravedere nuove possibilità narrative non solo ancorate ad un’ottima scrittura e a specifiche tematiche, diventa sempre più centrale e fondamentale discutere dell’aspetto sonoro/uditivo orrorifico intrapreso da Ari Aster nella sua filmografia.

Sin da Hereditary, il regista newyorkese, si è contraddistinto infatti per l’uso preciso e iconoclastico del suono, in un genere dove già vigevano schemi ben dettagliati, giocando un ruolo determinante nel creare un’atmosfera insolita che potesse favorire la discesa della storia nella follia. La peculiarità del sound design accresce l’impatto emotivo e psicologico fornendo elementi invisibili della narrazione a livello uditivo e attraverso l’inclusione di elementi sonori che possono influenzare direttamente i membri del pubblico fisiologicamente. L’uso del silenzio, lo studio vococentrico dei pensieri non verbali, esplorano in profondità l’animo umano dei protagonisti e del pubblico, così come il sound design supporta e arricchisce il film creando tensione.

Non mi è mai piaciuta l’idea datata del suono nell’horror, quello che spesso si utilizza in maniera standardizzata. Questo ha funzionato sicuramente a nostro vantaggio con il mio team sonoro, eravamo abbastanza consapevoli di cercare di evitare le convenzioni“.

Come supposto da Michel Chion, teorico dell’ascolto e dell’audiovisivo, ci sono suoni che possono scorrere liberamente al di là delle immagini: “si percepiscono dei suoni che sono già sull’altro versante della vita, percepiti da un orecchio immateriale, liberati dal nostro confuso tempo umano. Lo spettatore può udirli senza accorgersi di averli sentiti, poiché nulla, nell’immagine, risponde ad essi o li sottolinea”.

In HereditaryMidsommar, Aster rimuove meticolosamente la superficie sonora e sensoriale apparentemente ordinaria del mondo, la sua patina di normalità, per rivelare la malevolenza annichilente al di sotto di essa. Al contrario, tutte le cose disgustose e maligne dell’umanità sono allo scoperto in Beau ha paura, nuova opera antologica dell’odierno maestro dell’horror in uscita il 27 aprile.

La minaccia oscura della realtà

Come spiegato dallo stesso Aster ad IndieWire, la più grande paura di Beau (Joaquin Phoenix) ruota attorno alla relazione con sua madre, che lo ha accusato fin dalla giovinezza di essere stato la causa scatenante nella morte di suo padre (afferma che è deceduto quando Beau è stato concepito), fine che spetterà anche a lui in quanto malattia congenita. Ciò contribuisce al senso di alienazione di Beau e alla mancanza di intimità nella sua vita mentre il sogno di una famiglia felice continua a sfuggirgli. Beau Wasserman, unico figlio di Mona Wasserman è stato, per tutta la vita, l’unica figura maschile per sua madre: è apparso nelle pubblicità della sua compagnia MW: Perfectly Save, ha assorbito tutta la sua attenzione, è stato il fulcro della sua vita. Gli ha presentato un mondo di pericoli, in cui lei è sempre stata la sua unica guida sicura. “L’intera sessualità di Beau è stata repressa dalla stretta presa di sua madre sulla sua intera esistenza”.



Leggi tutto su www.wired.it
di Federico de Feo www.wired.it 2023-05-09 04:20:00 ,

Previous Intelligenza artificiale, perché agli sceneggiatori fa così paura | Wired Italia

Leave Your Comment