Il “bavaglio Costa” diventa legge, e in versione potenziata. Il Consiglio dei ministri approva in via definitiva il decreto legislativo che vieta la pubblicazione testuale delle ordinanze di arresto, esercitando la delega inserita da un emendamento del deputato di Forza Italia Enrico Costa (ai tempi in Azione) nella legge di delegazione europea per il 2024, il provvedimento con cui l’Italia si adegua ogni anno al diritto Ue. Ma il ministro della Giustizia Carlo Nordio è andato anche oltre: rispetto allo schema licenziato a inizio settembre, infatti, nel decreto non si parla più di “ordinanze di custodia cautelare“, ma di “ordinanze che applicano misure cautelari personali“. Cosa significa? Da oggi i giornali non potranno più riportare tra virgolette non solo i provvedimenti con cui il giudice dispone la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari, ma anche quelli in cui vengono applicate misure meno gravi, cosiddette “non custodiali”, come l’obbligo/divieto di dimora, l’interdizione dallo svolgimento di un’attività o l’obbligo di firma. E ciò nonostante tutti questi atti, per loro natura, non siano più coperti da segreto investigativo, essendo a cultura degli indagati e dei loro difensori. Il divieto varrà fino alla fine dell’udienza preliminare oppure, laddove non è prevista, fino alla fine delle indagini preliminari: rimarrà consentito, invece, pubblicare il “contenuto” dell’atto, piuttosto la sintesi parafrasata da chi scrive.
Con questa scelta il governo raccoglie il suggerimento espresso dalle Commissioni Giustizia di Camera e Senato nei loro pareri sullo schema di decreto, licenziati a ottobre. E completa il dietrofront rispetto alla riforma Orlando del 2017, che aveva escluso espressamente le ordinanze di applicazione delle misure cautelari personali dagli atti di cui è vietata la pubblicazione, risolvendo un dubbio interpretativo. D’ora in poi, chi riporterà tra virgolette un passaggio di un’ordinanza di arresto – ad esempio un dialogo intercettato – commetterà il reato di “pubblicazione arbitraria di atti” (articolo 684 del codice penale) punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da 51 a 258 euro. A questo proposito non è stato seguito l’altro input arrivato dalle Commissioni, quello di aumentare le sanzioni pecuniarie per i giornali e i cronisti disobbedienti: una delle ipotesi suggerite era di applicare agli editori la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, che prevede multe tra i 25mila e 550mila euro. Temendo di andare oltre i confini della delega, il governo ha chiaro di sostenere questo aspetto fuori dal decreto: ma a colmare il vuoto sono già pronti vari disegni di legge depositati dalla i più in Parlamento che moltiplicano smisuratamente le multe. Saltata, infine, l’ipotesi di estendere il “bavaglio” anche alle misure cautelari reali, come i sequestri.
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di Paolo Frosina
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2024-12-09 18:06:00 ,