Con lo spadone sguainato, e un’allegria per il taglio delle risorse pubbliche non esattamente spiegabile, il ministro Giuseppe Valditara mostra il primo scalpo: il Veneto. Sarà la Regione guidata dall’assessora di destra Elena Donazzan, già Movimento sociale italiano, a tagliare per prima il numero di istituti scolastici del Paese. Se ne prevedono 700 in meno in tutta Italia: è il secondo giro di contenimento e costrizione, dopo la prima fase di tagli gestita dodici anni fa dal Governo Berlusconi IV e affidata alla ministra Maria Stella Gelmini.
C’è già il piano del nuovo dimensionamento scolastico, appena approvato dalla giunta regionale veneta “sulla base dei criteri fissati dalle Linee guida per la programmazione dell’offerta formativa e dell’assetto della rete scolastica”. Un istituto con meno di 900 studenti iscritti non avrà più un’autonomia propria né un dirigente scolastico o un dirigente amministrativo in sede. La riorganizzazione del sistema scolastico, richiesta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza ai fini del contenimento della spesa, ha previsto il riconoscimento al Veneto, per l’anno scolastico 2024-2025, di 560 autonomie a fronte delle 592 attuali. Sono trentadue istituti in meno, secchi. Poi, per il 2025-2026 si scenderà a 556 e per l’anno scolastico 2026-2027 a quota 550. Quarantadue plessi da accorpare, quindi da chiudere.
Che volete da me?, allarga le braccia il ministro. “Sono gli italiani che non fanno figli”. E figuriamoci se si investe contro il ciclo natale negativo, se si usa una scuola migliore e meno dispendiosa per dare un motivo per farli questi figli.
Donazzan: “Un piano molto leggero”
Per l’assessora Donazzan, ci mancherebbe, “questa non è una penalizzazione, ma un efficientamento dell’offerta formativa che, grazie anche al contributo offerto dalla Regione Veneto nel dibattito nazionale, ha puntato sulla razionalizzazione dei dirigenti scolastici e amministrativi, lasciando spazio di autonomia alla Regione nel mantenimento di punti di erogazione del servizio in luoghi disagiati”.
Viene mantenuta l’autonomia scolastica in un istituto che conta soli 160 studenti a Forno di Zoldo (Belluno). “Il nostro piano di dimensionamento si può definire molto leggero perché ci siamo attivati da tempo, sin dal 2010-2011, quando abbiamo realizzato aggregazioni di scuole con un forte dialogo con il territorio”. È ancora Donazzan: “Il piano ha portato degli ottimi risultati”. Si tagliò molto allora, ecco, per tagliare meno oggi.
Nella provincia di Padova il bilancio sarà di sette scuole autonome in meno, due delle quali in città (l’Istituto comprensivo Quarto e il Dodicesimo). Al loro interno scompaiono due materne, cinque primarie e due medie. Allegria.
Venti istituti accorpati per Bonaccini
La Corte costituzionale ha bocciato anche il ricorso dell’Emilia-Romagna contro il dimensionamento delle autonomie scolastiche. La Regione presieduta da Stefano Bonaccini si troverà così costretta a dover tagliare 20 istituti scolastici sul territorio nei prossimi tre anni, accorpandoli ad altri per effetto del decreto interministeriale 127 del 30 giugno. Una sconfitta per la giunta, che del dimensionamento ne aveva fatto una battaglia politica.
Il provvedimento riguarda gli istituti sotto i 900 studenti, che saranno accorpati a un’altra scuola. In questo modo due plessi si troveranno ad avere un unico dirigente chiamato in via definitiva – già ora esistono le reggenze – a occuparsi di un migliaio studenti, del doppio di docenti, tecnici, bidelli. Le scuole emiliano-romagnole scenderanno dunque da 533 a 513 entro l’anno scolastico 2026-’27, con un taglio che riguarderà 14 istituti già dal prossimo 2024-’25). A seguire chiuderanno due scuole nell’anno 2025-226 e quattro istituti nel 2026-2027. A fine del periodo si arriverà a una cancellazione di venti autonomie. Il decreto rischia di avere ricadute sui plessi di aree meno popolate, come quelle appenniniche, dove un preside potrebbe trovarsi a gestire anche plessi distanti tra loro parecchi chilometri.
Salomoni: “In provincia impatto forte”
Preoccupata l’assessora regionale all’Istruzione dell’Emilia Romagna, Paola Salomoni. “Prendiamo atto della decisione della Corte costituzionale – ha detto in commissione in Regione -, ma chiederemo 30 giorni di proroga per attuare quanto previsto dalla normativa, che dovrebbe essere realizzata entro il 30 dicembre. I tagli sono stati decisi sulla base delle previsioni demografiche, ma allo stato attuale non abbiamo una progressione provincia per provincia per cui ci dobbiamo basare sui numeri del presente anno scolastico”. In sostanza, spiega ancora l’assessora, “siamo di fronte a un cambiamento di metodo. Si passa dal sistema a soglia, con il quale le autonomie venivano stabilite in base al numero di studenti iscritti, al sistema del numero medio di studenti iscritti. In questo modo, si rischia che le province in linea con la norma precedente debbano operare tagli più sostanziosi”. Anche secondo la presidente della commissione, Francesca Marchetti, “per alcuni territori l’impatto sarà molto inquietante”.
Tutte le sentenze
Nell’udienza del 28 novembre scorso il Consiglio di Stato ha confermato la decisione, presa attraverso decreto monocratico il 6 novembre, con la quale era stata già sospesa l’efficacia dell’ordinanza del Tar Campania-Napoli del 30 ottobre. Stiamo parlando del Decreto interministeriale di attuazione della riforma del dimensionamento scolastico, prevista dal Piano nazionale di resilienza e ripresa, impugnato dalla Regione Campania (e da altre tre). Nella stessa udienza del Consiglio di Stato è stato disposto il rinvio per la decisione dell’appello cautelare all’udienza del 16 gennaio 2024.
Il ministero dell’Istruzione ha fatto sapere: “Con questa ulteriore decisione si conferma l’assenza di ragioni ostative alla prosecuzione del processo di attuazione del dimensionamento, anche da parte della Regione Campania, sulla base delle norme vigenti, che peraltro hanno proprio di recente superato il vaglio di costituzionalità nei giudizi promossi da parte delle regioni Toscana, Emilia-Romagna e Puglia”. Lo staff di Giuseppe Valditara si riferisce alla sentenza della Corte costituzionale dell’ultimo 22 novembre. Proprio il ministro ha commentato: “Non viene chiuso, a differenza di quanto qualcuno ancora paventa, nessun plesso scolastico. L’allarmismo che si continua ad alimentare su questa vicenda è del tutto ingiustificato”.
Di certo, gli istituti al di sotto dei 900 studenti saranno governati da dirigenti lontani, a prese con sempre più reggenze. E alla fine qualcuno sarà, in linea con il riordino anche chiuso. E’ già accaduto nella precedente tornata. Un chiaro abbassamento della qualità dell’offerta scolastica.
Bonus di Natale mangiato dall’inflazione
Il ministro dell’Istruzione e del Merito ha annunciato con entusiasmo il bonus di Natale, magari con il tono inappropriato della cortese elargizione, ma il Censis ora spiega che gli stipendi degli insegnanti italiani sono sempre più bassi rispetto al resto del mondo sviluppato.
Lo studio ad hoc è inserito in un’indagine del 57° Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2023, con riferimento agli stipendi del comparto docenti della scuola secondaria di secondo grado. Ecco, il potere d’acquisto delle buste paga è calato di oltre il 10 %, spiega il Censis. Se consideriamo la Legge di bilancio che in questi mesi si sta discutendo per il triennio contrattuale 2022-2024, e prevede un aumento medio del 6 % per il pubblico impiego, “ci rendiamo conto che la situazione degli insegnanti italiani in realtà andrà a peggiorare”. A parlare è Rino Di Meglio, storico segretario di Gilda degli insegnanti. Dice: “Per fortuna gran parte della categoria, nonostante la scarsa considerazione dei vari governi, continua a svolgere il proprio compito con passione ed entusiasmo”.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2023-12-03 09:08:53 ,www.repubblica.it