La situazione attuale
Negli ultimi tempi il senato americano ha respinto il primo tentativo di convertire in legge la sentenza del 1973 della Corte Suprema che ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti.
Con un’azione oscurantista da parte dei giudici più conservatori, la Corte Suprema sta per far precipitare la nazione nel baratro dell’aborto illegale, invalidando così le lotte progressiste di oltre cinquant’anni di attivismo politico.
L’America sta quindi per sopprimere il diritto all’aborto.
Ma è possibile che in un mondo così civilizzato e all’avanguardia, come è l’Occidente, ci debba essere ancora il timore di veder crollare alcuni capisaldi dell’evoluzione?
In parole semplici l’aborto può essere descritto come l’atto d’interruzione della gravidanza prima che il feto sia vitale.
Ad oggi in Italia è possibile farlo entro i primi 90 giorni di gestazione, per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Ma non è sempre stato così e tuttora non lo è in alcuni paesi del mondo.
I Paesi in cui l’aborto è sempre illegale sono ancora tanti, ad esempio il Nicaragua, la Repubblica Dominicana, il Senegal, l’Egitto, l’Iraq, la Repubblica del Congo, le Filippine, l’Andorra e Malta.
Persino dove l’aborto è legale, come nel nostro Paese, ci sono ben 31 strutture con il 100% di medici ginecologi e infermieri obiettori di coscienza. Quasi 50 quelle in cui gli obiettori superano il 90% e oltre 80 le strutture con un tasso di obiezione superiore all’80%.
Si tratta di una scelta difficile che spesso le donne sono costrette a fare per necessità fisiche e psichiche oppure perché non si sentono in grado di affrontare un percorso di vita così impegnativo.
Per poter comprendere le motivazioni è necessario sviscerare le storie personali che si trovano dietro questo tipo di esperienza.
Lo sguardo cinematografico
A proposito di scelte, il primo film che analizziamo sul tema dell’aborto si intitola La scelta di Anne. Una storia che indaga in modo delicato la battaglia fisica ed emotiva di una ragazza che decide di agire contro la legge.
Anne è rimasta incinta ma non vuole portare a termine la gravidanza perché desidera finire gli studi e non ricadere nel destino proletario della sua famiglia. Siamo nel 1963 in Francia, qui l’aborto è illegale e la società è contro la libertà sessuale.
Anne ha sempre meno tempo davanti a sé, è inghiottita dagli esami e dalla reticenza nel farsi aiutare a trovare una soluzione.
Con semplicità la regista riesce a raccontare una situazione difficile ma dal punto di vista della ragazza, quindi con tutte le sue insicurezze, paure, dubbi e avventatezze.
Mai raramente a volte sempre è, invece, un viaggio pieno di continui ostacoli da superare e di sconfitte.
La protagonista, Autumn, è una diciassettenne che vive in una cittadina della Pennsylvania e quando lavora come cassiera nel supermercato insieme a sua cugina, subisce le attenzioni viscide del suo capo.
Scopre di essere incinta, ma la famiglia che poco si cura di lei non riuscirebbe ad aiutarla in un’esperienza forte e destabilizzante come l’aborto. Così inizia il suo lungo viaggio verso New York, con pochi soldi ma con il supporto della cugina, l’unica persona che mostra interesse nei suoi confronti.
In questa riflessione la regista non pone mai la questione su un piano femminista o etico, quanto più su una reciproca solidarietà femminile e un percorso scelto per necessità.
Autumn affronta tutto ciò che le accade in modo passivo ma, forse, riesce a trovare nell’atto abortivo una sorta di riscatto, un moto propulsivo per cominciare una vita più consapevole.
Arriviamo a Lingui, the sacred bonds, un film realistico che sembra quasi un documentario. La vita scorre tranquilla nello stato africano del Chad, anche se Amina, una madre sola, deve lavorare duramente per poter mantenere sua figlia Maria, appena quindicenne.
Quando Amina scopre che Maria è incinta e vuole abortire, entrambe si troveranno ad affrontare una situazione quasi impossibile in un paese dove l’aborto è legalmente e moralmente condannato.
Una storia sofferta ma che sa mostrare tutta la forza delle donne, protagoniste di situazioni complesse proprio a causa della differenza di genere. Essere donna in alcune realtà in cui i diritti e le libertà sono soppressi, significa appesantirsi di limiti e battaglie intense, di pregiudizi e oltraggi.
Ma sono proprio le difficoltà a forgiare le persone e a portare le protagoniste di questo splendido lungometraggio a compiere la propria personale impresa.
4 mesi, 3 settimane, 2 giorni è una narrazione cruda che non dona speranza allo spettatore ma rivela il lato più insidioso della vita di una donna. In un paese, come la Romania degli anni ’80, ancora arretrato e patriarcale, Otilia e Găbița dividono la stanza in uno studentato universitario.
Găbița rimane incinta e sceglie di abortire, pur essendo un reato nel paese. Per le due amiche è l’inizio di un calvario che le porterà ad un abietto ricatto: ricevere la prestazione abortiva in cambio di una prestazione sessuale con l’uomo che si occupa di tale pratica.
Un’aberrazione, un’umiliazione che viene vissuta dalle ragazze come l’unica via per portare a compimento un atto inevitabile e necessario.
In questa ricerca spasmodica della libertà personale le donne che ci vengono descritte nei film sono disposte a tutto pur di non vedere compromessa la possibilità di scegliere cosa è giusto per il proprio futuro.
Diversa è la prospettiva di Un affare di donne che pone il focus su chi attua gli aborti e non su coloro che lo richiedono.
Nella Francia occupata dai nazisti viene narrata la storia di Marie Latour che nel 1943 venne condannata a morte e ghigliottinata. Marie, chiamata la “fabbricante di angeli”, procurava aborti per mantenere la famiglia.
Un film scanzonato che è parabola di una lenta presa di coscienza politica: dall’inconsapevolezza e dall’avventatezza, Marie arriva a difendere in modo fervente la condizione femminile davanti allo stato che la ignorava sulla “questione morale”, giungendo infine al patibolo.
In questo femminismo primordiale intriso di dubbia moralità, si staglia la figura di una donna che in un mondo ancora maschilista riesce a guadagnarsi il suo spazio sociale.
Ad oggi la questione dell’aborto in Occidente è quasi del tutto accettata, ma ci sono Paesi in cui ancora non è considerato un diritto per le donne. E se anche in Occidente, come sta succedendo in America, dovesse essere a rischio? Cosa succederebbe?
Il diritto all’aborto e la sua narrazione cinematografica
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di Veronica Cirigliano
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2022-05-20 10:00:00 ,