l’editoriale
Mezzogiorno, 17 agosto 2022 – 09:44
Le scelte nelle mani dei partiti
di Michele Cozzi
No, non sono più le elezioni di una volta. Non c’è pathos, sorpresa. E soprattutto, i cittadini, ai quali la democrazia demanda lo scettro della scelta dei parlamentari, ricoprono sempre più un ruolo marginale. Così grazie ad un sistema elettorale che esalta il potere dei vertici, moderni oligarchi, con la scelta dei capilista del proporzionale, una parte del Parlamento è stata già definita a più di quaranta giorni dal voto. Nel Pd scoppia la bufera. Emiliano ha fatto saltare il banco. Tutti i probabili «eletti» sono «uomini del presidente». Restano fuori partita alcuni uscenti e consiglieri regionali, ed è improbabile pensare ad un loro maxi impegno per eleggere altri. Fabiano Amati è eloquente: parla di «raccomandazioni, meschinità, bassezza, misoginia (…) le liste del mio partito, il Pd, risultano invotabili». È una dichiarazione di guerra a cui aggiungere le dure parole del senatore Dario Stefàno, che ha lasciato il partito, e di Michele Laforgia, leader dell’associazione La Giusta Causa.
Emiliano-pigliatutto, quindi, ma che rischia molto. La squadra è sua e a lui sarebbe inevitabilmente addebitata una eventuale debacle elettorale. Il M5S celebra le parlamentarie, ma è certa la candidatura a capolista e quindi l’elezione di Mario Turco, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Per il resto, corsa aperta per chiunque. Noti e ignoti. Apparente serenità a destra, in quanto le previsioni di successo sollecitano appetiti che potranno essere soddisfatti. I partiti, quindi, vanno per la loro strada mentre il Paese reale guarda da un’altra parte e non sembra affascinato dallo spettacolo dei politici affaccendati nelle loro questioni. Uno scenario, che paradossalmente, fa apparire come «età dell’oro» la politica della Prima Repubblica, quando, durante le elezioni, imperavano i santini, le fotografie in bianco e nero di candidati che avevano il coraggio di metterci la faccia, di farsi conoscere. E poi i comizi e i faccia-a-faccia. Era l’Italia dei partiti di massa, della democrazia dal basso, del voto di preferenza, quando si poteva scegliere il proprio parlamentare. Gli esiti degenerativi, le spese esorbitanti per alimentare quel «circo Barnum» della politica hanno contribuito a far saltare quel sistema e a verticalizzare la politica. E la necessità di raccogliere il consenso con quelle modalità è stata alla base dei molteplici effetti degenerativi. Ora sono i leader a decidere la composizione del Parlamento. A propria immagine, rafforzando il proprio potere, presente e futuro.
Da Emiliano a Fitto, i leader pugliesi sono lì a Roma per piazzare il personale politico di propria fiducia. Tutto normale, dirà qualcuno, questi giochetti esistevano anche nella Prima Repubblica. Vero, ma solo in parte. Perché qualche outsider in passato poteva scompaginare i giochi dei capibastone. Ora, questo non è tecnicamente possibile.
L’esito di tale «recessione democratica» è l’apparente conflittualità del confronto: fascisti versus comunisti, statalisti (di destra e di sinistra) contro liberali, apocalittici e integrati, dentro e fuori, lo scontro tra i componenti della «società di sopra e della società di sotto», la variopinta rappresentazione dei populisti di varie specie.
Una commedia in cui il cittadino-elettore assolve al ruolo di «attore non protagonista». Con la conseguenza, come scrive il costituzionalista Michele Ainis, che con il «Rosatellum gli elettori hanno ormai divorziato dagli eletti». Così non ci sarà da sorprendersi se una larga fetta di elettorato il 25 settembre preferirà prolungare le vacanze. E si allungherà la lunga ombra descritta da Rino Formica: «Se il 26 settembre i non votanti supereranno il 50 %, saranno esercito di riserva della valanga antisistema pronta a essere utilizzata per il rovesciamento di quello che è ormai il simulacro della democrazia parlamentare». I partiti che corrono verso il cupio dissolvi.
17 agosto 2022 | 09:44
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, 2022-08-17 07:44:13 ,