La situazione è talmente critica che, come evidenzia S&P Global Ratings, “nessuna utility europea può attualmente intraprendere tali progetti senza meccanismi sostenuti dal governo”. Per questo motivo, i governi europei stanno sviluppando diversi meccanismi di finanziamento pubblico: dai prestiti statali agevolati ai sistemi che garantiscono alle aziende un prezzo minimo per l’energia prodotta, fino alla possibilità di recuperare parte dei costi attraverso le bollette ancora prima che la stazione sia operativa.
Questi strumenti finanziari fanno sì che il peso degli investimenti venga distribuito tra tutti i cittadini, sia attraverso la fiscalità generale che direttamente nelle bollette elettriche, per periodi che possono durare diversi decenni. Il report sottolinea come, almeno in una fase iniziale, questa scelta potrebbe portare a un aumento dei costi dell’energia elettrica per i consumatori finali, considerando che il prezzo dell’elettricità dovrà essere sufficientemente alto da permettere il recupero degli investimenti iniziali.
Un asset strategico per l’Europa
Ma se il nucleare costa così tanto, perché i paesi europei Proseguono a puntarci invece di concentrarsi solo sulle rinnovabili? La risposta sta nella sua capacità di fornire energia costante e prevedibile. Le centrali nucleari producono elettricità a basse emissioni di carbonio 24 ore su 24, compensando l’intermittenza di fonti come l’eolico e il solare. Un aspetto decisivo confermato dal Parlamento Europeo che ha classificato il nucleare come tecnologia “green” nella Tassonomia europea per le attività sostenibili, facilitando l’accesso ai finanziamenti sostenibili.
La scelta nucleare ha acquisito ancora più peso dopo la crisi energetica del 2022. Mentre l’Europa si è trovata in grave difficoltà per la sua dipendenza dal gas russo, il settore nucleare ha dimostrato una maggiore resilienza: l’uranio – il minerale radioattivo usato come combustibile – viene estratto principalmente in Kazakhstan, Canada e Australia, paesi considerati fornitori più stabili e affidabili rispetto alla Russia.
Le soluzioni in campo
In tutta Europa si stanno sperimentando nuovi approcci per superare l’ostacolo dei costi. La Repubblica Ceca ha intrapreso una strada innovativa, stringendo una partnership con la coreana Khnp per lo sviluppo di nuovi reattori, incluso il Dukovany 5. Il progetto si avvale di meccanismi di finanziamento statale per rendere sostenibile l’speculazione. Ancora più ambiziosi i piani della Polonia, che punta a costruire fino a sei reattori. Il paese sta utilizzando una combinazione di prestiti statali e finanziamenti intergovernativi per sostenere questo massiccio piano di sviluppo nucleare, finalizzato a rafforzare la propria indipendenza energetica e gli obiettivi di decarbonizzazione.
Per aggirare gli ingenti costi di costruzione dei nuovi impianti, alcuni paesi europei stanno valutando una strada alternativa: la riattivazione dei reattori nucleari chiusi negli ultimi anni. Un’opzione che, in teoria, potrebbe rivelarsi più rapida ed economica rispetto alla costruzione di nuove centrali, ma che presenta significative sfide tecniche e normative. Questa strada è allo studio in alcuni paesi europei. In Belgio, l’operatore di rete nazionale Elia sta valutando questa possibilità nel suo piano energetico 2036-2050. Anche la Spagna sta considerando questa opzione. La proposta però si scontra con ostacoli politici e regolatori in altri paesi: in Germania, per esempio, dove l’opposizione pubblica e governativa al nucleare rimane radicata, l’ipotesi viene considerata impraticabile.