Ieri, 21 novembre, sono entrate in vigore le nuove regole dell’Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni (Agcom) riguardanti la tutela dei minori sul web. In particolare, la delibera 9/23/CONS di gennaio 2023 prevede che gli operatori di telecomunicazioni forniscano gratuitamente sistemi di parental control ai propri utenti. Nel concreto significa che i fornitori di servizi web, al momento dell’acquisto di una nuova sim o della sottoscrizione di un nuovo contratto, devono includere un sistema che blocchi (o dia l’opzione di bloccare) una serie di contenuti ritenuti inappropriati, a cui i minori non potranno avere accesso. Qualora il contratto sia intestato a una persona minorenne, il filtro viene applicato in automatico.
Come vengono definiti i contenuti da bloccare
Nel testo della delibera sono elencate una serie di categorie che individuano i contenuti che potranno essere bloccati. Tra questi vi sono la pornografia, ma anche siti che mostrano “attività orientate al sesso”. Compaiono poi i siti che promuovono il gioco d’azzardo e la vendita di armi, siti che incitano o rappresentano violenza o autolesionismo, siti che propongono discorsi d’odio o discriminatori, o che promuovono pratiche dannose dal punto di vista della salute (ad esempio l’anoressia). Nella lista dell’Agcom sono citati anche i siti che “forniscono strumenti e modalità per rendere l’attività online irrintracciabile”. Infine vengono vietati i contenuti che “promuovono o che offrono metodi, mezzi di istruzione o altre risorse per influire su eventi reali attraverso l’uso di incantesimi, maledizioni, poteri magici o essere (sic) soprannaturali”.
Le indicazioni nella delibera, frutto di una consultazione pubblica, sono preliminari. Sta ai singoli operatori comunicare l’elenco dei contenuti da bloccare, le soluzioni tecniche implementate e i partner tecnici con cui hanno realizzato i sistemi di controllo parentale. “Agcom ha indicato il fine ma non il mezzo, lasciato alla scelta degli operatori”, ha sintetizzato Antongiulio Lombardi, Direttore Affari Regolamentari di Wind Tre.
Le consultazioni pubbliche
Le categorie sono state identificate grazie a una consultazione pubblica, a cui hanno partecipato, oltre alle associazioni di categoria del settore delle telecomunicazioni, ai singoli operatori e alle associazioni dei consumatori, anche alcune organizzazioni di genitori. Tra queste spiccano Pro Vita e Famiglia e il Movimento Italiano Genitori (Moige) note per le loro posizioni piuttosto intransigenti in materia di sessualità, educazione affettiva e rappresentazione delle persone lgbt+. Il Consiglio Nazionale Utenti, organo consultivo dell’Agcom ha espresso soddisfazione rispetto alle nuove norme: “L’iniziativa non può essere esaustiva: ma si tratta di provvedimenti che contribuiscono a creare un primo livello di protezione e una sempre maggiore consapevolezza circa le insidie del web”, si legge in un comunicato stampa.
Il problema della delega ai privati
Un punto controverso riguarda proprio nei criteri con cui sono stati individuati i siti ritenuti pericolosi per i minori. “Le linee Guida di AGCOM di fatto delegano a terzi – privati – l’individuazione di tali criteri” dice Diego Dimalta founder dell’organizzazione Privacy Network. “È interessante osservare come questo obbligo, partito il 21 novembre, si basi si una norma del 2020 (l’articolo 7bis del decreto legge n.28, ndr). Agcom aveva quindi tre anni per farsi un’idea sui criteri da adottare per limitare la navigazione”. Invece ha deciso di affidarsi alla discrezionalità delle aziende private, che già utilizzano in molti casi servizi terzi per il parental control. Continua Dimalta: “Di fatto, Agcom comunica agli operatori di continuare a utilizzare questi servizi esterni, i cui limiti sono già impostati. Questo è molto pericoloso perché si delega a privati l’enorme potere di scegliere cosa sia giusto e cosa sbagliato dire. Un potere che, anche nelle mani del pubblico, è a elevato rischio censura. Si rischia così che, come sta succedendo in questo periodo con le manifestazioni di solidarietà alla Palestina, opinioni legittime vengano classificate come hate speech e che di conseguenza venga meno la pluralità dell’informazione”.
Categorie troppo vaghe
Altri hanno evidenziato il rischio di censura dall’alto. “La prima perplessità riguarda la vaghezza delle categorie vietate ai minorenni. Se “gioco d’azzardo e scommesse” hanno una portata chiara e sufficientemente precisa, così come “armi”, non si può dire altrettanto di “odio e discriminazione” e “pratiche che possono danneggiare la salute”. Se (…) si dovesse far rientrare in questa categoria tematiche quali vaccinazioni, uso di integratori o altro, il rischio di manipolazione, strumentalizzazione e disinformazione sarebbe altissimo”, ha scritto l’avvocato Massimo Borgobello su Agenda Digitale.
La stessa riflessione è applicabile ai contenuti di natura sessuale: se è importante proteggere i minori da rappresentazioni violente o pedopornografia, con le nuove regole i più giovani possono perdere l’accesso a materiali educativi o a discussioni tra pari riguardanti il tema della sessualità. Ovviamente il confine, come è noto, tra contrasto alla disinformazione e all’hate speech e limitazione della libertà di espressione è molto sottile. Il tema diventa ancora più delicato quando si tratta di protezione dei minori.
L’aspetto educativo
“Leggendo la delibera mi sono posta alcuni quesiti, uno in primis rispetto alla fattibilità. Impedire ad una persona di visionare un contenuto spinge solamente la stessa a cercare modi alternativi, spesso illegali, per accedervi – soprattutto negl adolescenti” spiega Martina Cicaloni, research officer di Privacy Network. Senza specifici percorsi di alfabetizzazione, insomma, le soluzioni tecniche non bastano. Non sono solo i ragazzi a dover intraprendere percorsi educativi. “ll parental control è indirizzato ai minori, ma richiama il secondo attore chiave di questo discorso: i genitori” continua Cicaloni. “Anch’essi devono essere soggetto di percorsi di alfabetizzazione digitale. Non possiamo delegare a sistemi automatizzati, app o ai minori stessi la capacità di analisi critica”.
Trasparenza e tutela degli utenti
Vi è, infine, un problema di trasparenza nei confronti degli utenti finali, Spiega ancora Diego Dimalta: “La delibera evidenzia come ci sia già in atto una prassi delle compagnie di associare il servizio del filtro, obbligatorio e gratuito ad altri servizi di parental control a pagamento”. Se gli operatori si limitano semplicemente a pubblicare una comunicazione sul sito, il rischio è che non tutti i genitori o le persone interessate dalla norma ricevano la corretta informazione. “Il rischio è che, nonostante quanto previsto dalla legge, il genitore pensi di essere tenuto a pagare per il pacchetto servizi: circostanza, questa, che va a favore delle sole compagnie e non degli utenti”.
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di Irene Doda www.wired.it 2023-11-22 13:56:31 ,