La senatrice dem: solo un’eletta su 3? Il caso viene da lontano
«È un dato di tutta evidenza che ci chiama a una responsabilità collettiva e a una risposta comune. Non ci si deve nascondere: il dato delle elette non è solo numerico, indica un deficit di capacità del nostro partito di dare rappresentanza a una classe dirigente di donne che esiste, radicata e diffusa sui territori. Noi non siamo un partito di soli uomini, ma siamo certamente un partito rappresentato, soprattutto, da uomini. Una cosa che è fuori da questo tempo, tanto più oggi nel parlare di un processo rifondativo del Pd, dove uno dei temi da cui partire urgentemente per ricostruire un tratto identitario deve essere assolutamente quello della rappresentanza femminile e della reale partecipazione delle donne ai processi decisionali».
Di chi è la responsabilità di questa situazione? Anche le donne dem dovrebbero fare autocritica?
«È una storia che parte da molto lontano, molto prima del percorso provato ad avviare dopo le nomine tutte al maschile avvenute con il governo Draghi, percorso rimasto incompiuto forse per timore che approfondire quella discussione potesse mettere in difficoltà il partito. Dobbiamo superare questo timore: parlare degli equilibri del Pd con franchezza può solo essere un elemento di crescita. Abbiamo bisogno di interpretare tutti i cambiamenti che stanno avvenendo nella società dove le donne hanno acquisito sempre più forza. Ma questa responsabilità non può essere messa in capo solo alle donne o liquidata come mancanza di coraggio nel prendersi spazi. Troppo facile. Se crediamo al concetto di comunità si deve raggiungere l’obiettivo insieme: donne e uomini. O non si è comunità».
Malpezzi, non è che in realtà il Partito democratico è un partito patriarcale?
«L’Italia tutta è ancora profondamente patriarcale e un partito che aspira alla guida del Paese non può fermarsi all’elaborazione di politiche per donne senza darne poi un’adeguata rappresentanza. Un esempio su tutti: il Sud senza capolista donne di quei territori è un fatto che non deve più accadere. Ma dobbiamo partire ora, altrimenti rimane solo denuncia».
Si è chiesta perché a destra una donna, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, sia riuscita a sfondare il proverbiale tetto di cristallo e a sinistra invece non è accaduto niente di tutto ciò?
«Meloni ha rotto il tetto di cristallo, è vero, si è costruita un partito da sola e di questo le va dato merito. Tuttavia il leaderismo — tratto tipico dei partiti di destra — non basta. Meloni è una donna che ha alle sue spalle un partito che già nel nome, Fratelli d’Italia, si presenta per quello che è: maschile e maschilista. Non scardina il modello patriarcale e conserva l’ordine precostituito. Non è un caso che nelle regioni dove governa o in Europa non si schieri mai dalla parte delle donne: dalla piena applicazione della 194 al voto contrario in Europa sulla parità salariale, dal no alle quote, all’alleanza con Orbán il cui modello di famiglia prevede donne a dimora senza istruzione. Aggiungo che Giorgia Meloni è una donna sola al comando senza alle spalle una classe dirigente femminile diffusa né tantomeno nei ruoli apicali. Il Pd con tutti i suoi limiti è una comunità plurale».
La prossima leadership del Partito democratico sarà affidata a una donna o come al solito sarà una partita tra uomini?
«Il prossimo congresso, prima dei nomi in campo, dovrà partire dai temi e dalla riflessione su ciò che vogliamo essere come Partito democratico. A quali istanze rispondere. La partecipazione femminile, la rappresentanza, la cittadinanza politica delle donne del Pd deve esserne uno dei tratti rifondativi. Compreso lo sguardo femminile su tutte le politiche. E servirà che le donne siano capaci di stringere alleanze, riconoscendosi senza giudicarsi. Ambire a ruoli apicali non è reato di lesa maestà così come la capacità di fare sintesi non può essere semplicemente scambiata per accondiscendenza».
1 ottobre 2022 (modifica il 1 ottobre 2022 | 21:59)
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Maria Teresa Meli , 2022-10-01 20:05:06 ,