Nella vita fa il coffee expert, l’esperto di caffè. Da fine gennaio il 37enne Simone Zaccheddu, sardo di Macomer, nel nuorese, è campione italiano della categoria Cup Tasters, letteralmente ‘assaggiatori di tazzine’. Ora lo attende l’America e la competizione più prestigiosa – lo Specialty Coffe Expo – dal 12 aprile a Chicago, dove si troveranno a competere i migliori degustatori del mondo. Dal bar di famiglia ai café per ricchi di Parigi, a breve a Chicago, passando per la vittoria del titolo italiano a Rimini, tutto all’insegna del caffè.
Dal bar di famiglia ai café per ricchi di Parigi, a breve a Chicago, passando per la vittoria del titolo italiano a Rimini, tutto all’insegna del caffè. Ma che lavoro è il suo?
“Dopo anni di esperienze di ogni genere nel settore bar/ristorazione, posso dire che ora lavoro nel posto ideale, a Firenze, in un’azienda italiana vera eccellenza nel settore, dove sono approdato quando stavo per mollare il mondo del caffè a causa dello stop forzato per il lockdown, nel 2020. La mia azienda assicura uno stipendio alto, ritmi di lavoro da nord Europa, persino un ambiente curato e luminoso. È una realtà rara, dove hanno capito che un dipendente felice lavora meglio”.
Qual è il passaggio da barista ad assaggiatore/esperto di caffè?
“Ogni barista dovrebbe essere un assaggiatore, un conoscitore di ciò che prepara e serve. Ancora in Italia non abbiamo la vera cultura del caffè, del prodotto di qualità, anche se siamo convinti di essere esperti conoscitori. Quella del taster cup è una figura che in tante parti d’Europa esiste da tempo e che da noi sta prendendo piede da poco e molto lentamente anche per il rapporto particolare che gli italiani hanno col caffè”.
Cioè?
“Non è un caso se l’espresso è nato in Italia. Qui il caffè serve a svegliarti prima di andare velocemente al lavoro. Gli italiani hanno reinventato l’idea stessa di bar: dal café letterario francese, dove si trascorrono serate di degustazione e scambi culturali, al nostro espresso da bere in piedi, velocemente, per poi correre a lavorare”.
Bevi e fuggi, ma almeno il caffè italiano è di qualità?
“Non esiste il caffè italiano, l’Italia acquista quasi esclusivamente dal Vietnam, secondo produttore al mondo dopo il Brasile: importiamo coffea Robusta, non la tipologia di chicchi migliore, molto tostata, quindi molto scura e dal sapore forte, ma di scarsa qualità. I Paesi del nord Europa, che sono attualmente i maggiori consumatori di caffè (con la Finlandia al primo posto e l’Italia al nono) hanno capito che le migliori miscele sul mercato sono quelle chiare, a tostatura leggera che salvaguarda gli aromi e quelle acquistano, anche se sono più care. Anche in Italia, però, qualcosa sta cambiando, c’è una fetta di clientela che è diventata più esigente, che si informa e sceglie altro, anche grazie a baristi formati e soprattutto appassionati”.
Come si diventa assaggiatore di caffè?
“Studiando, frequentando corsi e superando un esame di teoria e pratica, con degustazione sensoriale. Ad oggi in Italia siamo una settantina con la certificazione”.
Oltre lo studio, c’è una predisposizione particolare che aiuta il cup taster?
“Si, un parametro è quello delle papille gustative e del loro numero rispetto alla superficie della lingua: in generale, chi ne ha poche viene ritenuto no taster, ma averne troppe – il super taster – non può automaticamente fare l’assaggiatore, perché ha una sensibilità eccessiva, che può non far cogliere in modo corretto i sapori. Papille a parte, quello che serve soprattutto la curiosità esercitata con l’esperienza. È come avere un database, costruito e implementato negli anni, approcciandosi al cibo con la voglia di conoscere, di provare: odori, sapori, sfumature, retrogusti, tutto diventa un dato nell’archivio, dato che viene poi richiamato alla mente nel momento dell’assaggio”.
Per il suo lavoro in una azienda specializzata in macchine da caffè, quanti ne beve al giorno?
“Arrivo anche a una decina, magari non tutti i giorni, ma spesso. Posso assicurare che il caffè, se è di qualità, non provoca gastrite. Per ottenere una bevanda veramente di qualità devono esserci quattro componenti importanti: ovviamente partiamo dal tipo di caffè, dall’acqua che si utilizza, dalla macchina e dalla tecnica del barista. Questi quattro elementi sono, per me, tutti sullo stesso piano, fondamentali in modo uguale”.
Lungo, ristretto, in vetro, corretto, decaffeinato, macchiato, americano (“nato in Italia, mentre il caffè all’americana è ben altra cosa”): a fronte di mille richieste quotidiane, per un bravo barista quale è il caffè migliore, quello più buono?
“Quello che ti piace di più, che scegli in base ai tuoi gusti, quello che ti fa star bene, come per ogni cosa nella vita”.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2024-04-11 10:09:49 ,www.repubblica.it