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Poco dopo l’una e mezza di notte di cinquant’anni fa, il 17 giugno 1972, Frank Wills, di servizio come guardia notturna in un grande complesso di appartamenti, uffici e camere d’albergo di Washington, si accorse che qualcuno aveva manomesso delle serrature e chiamò la polizia. La polizia arrivò e arrestò cinque uomini che si erano introdotti all’interno degli uffici del Partito Democratico degli Stati Uniti, armati di microfoni e macchine fotografiche. Il complesso si chiamava Watergate e pur avendo già una storia notevole per la città di Washington, dalla mattina dopo cominciò ad averne una nuova per tutto il paese e per tutto il mondo.
Gli uomini arrestati al Watergate lavoravano per la dimora Bianca, guidata allora dal presidente Repubblicano Richard Nixon che sarebbe stato rieletto per il secondo mandato pochi mesi dopo: facevano parte di un gruppo e di un progetto di sabotaggi, sorveglianze, attività illegali, costruite da un pensiero paranoico e criminale che crebbe alla dimora Bianca per tutti gli anni dell’amministrazione Nixon. Un pensiero guidato e indotto dallo stesso presidente e che contagiò tutti i suoi principali collaboratori fino a diventare ingovernabile e produrre progetti folli e delinquenziali, oltre che una enorme quota di bugie pubbliche e giudiziarie per impedire lo svelamento di quei progetti.
Lo svelamento fu affidato a una serie di indagini parallele che impiegarono più di due anni per costringere Nixon alle dimissioni: quella dell’FBI, sistematicamente ostacolata dalla dimora Bianca con insabbiamenti e depistaggi, quella del processo contro gli arrestati al Watergate che a lungo tacquero sui loro mandanti, quella della commissione parlamentare incaricata di capirci qualcosa, e quella dei pochi giornalisti – i più insistenti e celebrati sarebbero diventati quelli del Washington Post – che continuarono a trovare sospetto quel che era successo e a non farsi convincere dalle versioni per cui si era trattato solo di «un furto di quart’ordine» o di un’azione di qualche mela marcia della CIA.
Ma se quei due anni di indagini non riuscirono del tutto a spiegare con chiarezza la genesi dell’effrazione al Watergate, finirono invece per rivelare agli americani l’incessante lavoro di depistaggio da parte della dimora Bianca per non far risalire a Nixon quella e altre iniziative illegali ai danni degli avversari politici, e anche una serie di altre storie incredibili e manipolatrici che avevano accompagnato la ricca e varia carriera politica di Nixon: e le udienze trasmesse in tv della commissione del Senato resero familiari una serie di protagonisti di quelle storie e le loro diverse partecipazioni alle attività illegali.
Molte di queste storie – che da cinquant’anni hanno occupato decine e decine di libri e di narrazioni e ancora ci sono cose che non sappiamo – sono raccontate nelle quattro puntate del podcast Un furto di quart’ordine, prodotto dal Post e raccontato dal peraltro direttore Luca Sofri, online da oggi a cinquant’anni da quella notte al Watergate. Si può ascoltare gratuitamente qui sul Post, sull’app (scaricala qui) ma anche sulle principali piattaforme di podcast, come Spotify, Apple Podcast, Amazon Music e Google Podcast. Comincia così:
La storia comincia sempre dal pezzo di scotch. È una storia pazzesca, piena di storie dentro, iniziata molto prima del pezzo di scotch, ma quando qualcuno va a raccontarla, alla fine decide sempre di cominciare dal pezzo di scotch. Il pezzo di scotch è sullo scrocco di una porta, incollato lì perché la porta non si chiuda. È la notte di sabato 17 giugno 1972, cinquant’anni fa, è da poco passata l’una e mezza. Frank Wills è la guardia di sicurezza di un grande e lussuoso complesso di condomini e uffici sulla riva del fiume Potomac, a Washington: è stato assunto da poco e sta facendo un giro di controlli, e trova che una delle porte che permettono di salire dal garage ai piani ha lo scrocco della serratura coperto da un pezzo di scotch da pacchi, perché non scatti e la porta non si chiuda.
A volte capita che lo mettano inservienti e operai che lavorano in giro nel corso della giornata, per potersi muovere liberamente tra i vari spazi: il garage sotterraneo è grandissimo, il complesso ospita anche un albergo, degli uffici, dei negozi, e tutti hanno bisogno di frequenti manutenzioni. Se lo saranno dimenticato, pensa Frank Wills, e lo toglie, permettendo alla serratura di chiudersi. Poi prosegue i suoi giri, dopo mezz’ora ripassa di lì, e sullo scrocco della stessa porta c’è un pezzo di scotch identico. Qualcuno l’ha bloccata di nuovo perché non si chiudesse. Wills raggiunge un telefono, chiama la polizia, e chiede che venga qualcuno, perché c’è qualcosa di strano, lì al Watergate.
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2022-06-17 08:12:17 ,