È “emergenza sanitaria”. È quanto appena dichiarato dalle autorità brasiliane dopo aver registrato nuovi casi di influenza aviaria negli uccelli selvatici del Paese, per un totale di otto casi confermati, 7 nello stato di Esperito Santo e 1 nello stato di Rio de Janeiro. L’obbiettivo, spiegano dal Brasile, il più grande esportatore al mondo di carne di pollo, è proprio quello di limitare la diffusione del virus, di “impedire che la malattia raggiunga la produzione avicola di sussistenza e commerciale e di preservare la fauna selvatica e la salute umana”. Come racconta Reuters, la misura, che rimarrà in vigore per i prossimi 180 giorni, comprende anche il prolungamento del divieto già in vigore di fiere ed esposizioni di pollame.
La variante H5N1
Ricordiamo che l’attuale epidemia di influenza aviaria sta colpendo soprattutto gli uccelli selvatici. Negli ultimi mesi, tuttavia, il virus H5N1, il più letale tra quelli che causano l’influenza aviaria è stato osservato anche nei mammiferi. Come vi abbiamo raccontato, infatti, a ottobre scorso era scoppiato un focolaio di influenza aviaria, e più precisamente di una nuova variante del virus H5N1, in un allevamento di visioni americani (Neovison vison) in Spagna. Sebbene il virus non abbia acquisito la capacità di contagiare l’essere umano, l’allerta deve rimanere alta: la trasmissione del virus all’interno dell’allevamento, da animale ad animale, c’è stata e ciò potrebbe rappresentare un rischio più elevato di un vero e proprio salto di specie, dagli uccelli ai mammiferi, fino all’essere umano.
La preoccupazione del contagio
Quella di quest’anno, quindi, si sta rivelando una delle peggiori epidemie influenzali di sempre per gli uccelli, sia selvatici che di allevamento. A spaventare gli esperti, tuttavia, è anche il fatto che le infezioni di H5N1 nell’essere umano, sebbene occasionali e sempre legate al contatto con animali infetti (ossia non è mai stata confermata la trasmissione diretta da uomo a uomo), sembrano avere un elevata letalità. Come vi abbiamo raccontato, infatti, su 868 contagi umani confermati tra il gennaio del 2003 e novembre del 2022, i decessi sono stati infatti 457, il che significa che il virus nell’essere umano potrebbe avere una mortalità del 53%. Ma niente allarmismi: la valutazione del rischio dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per l’uomo rimane bassa.
L’avvertimento dell’Organizzazione mondiale della sanità
Lo scorso marzo, tuttavia, una nota dell’Oms dichiarava il decesso di una paziente cinese, con patologie pregresse, a seguito dell’infezione con il ceppo H3N8 dell’influenza aviaria. Si trattava del terzo caso di infezione umana con questo preciso ceppo dell’aviaria (diverso, quindi, dal ceppo che sta colpendo gli uccelli selvatici). “Sulla base delle informazioni disponibili sembra che questo virus non abbia la capacità di diffondersi facilmente da persona a persona e quindi il rischio di diffusione tra gli esseri umani a livello nazionale, regionale e internazionale è considerato basso”, dichiarava l’Oms. “Tuttavia, a causa della natura in costante evoluzione dei virus influenzali, sottolineiamo l’importanza di una sorveglianza globale per rilevare i cambiamenti virologici, epidemiologici e clinici associati ai virus influenzali circolanti che possono avere un impatto sulla salute umana (o animale)”.
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di Marta Musso www.wired.it 2023-05-23 09:49:18 ,